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Smart Working

Che cosa faranno Leonardo, Eni, Enel, Tim e non solo sullo smart working

Leonardo, Eni, Enel, Fincantieri, Unicredit, Vodafone, Tim, Pirelli, Fastweb: ecco come si muovono alcune grandi aziende in Italia nello smart working, tutti i dettagli Smart working. Sarà questa la parola chiave, professionalmente parlando, dei mesi a venire. Il Covid-19, lo stato di emergenza fino al 15 ottobre e la ripresa delle scuole tra tanta incertezza…

Smart working.

Sarà questa la parola chiave, professionalmente parlando, dei mesi a venire.

Il Covid-19, lo stato di emergenza fino al 15 ottobre e la ripresa delle scuole tra tanta incertezza e alti rischi di lunghe quarantene sta abilitando, in tempi record, il lavoro agile nel nostro Paese.

Sono tante le grande aziende, da Leonardo a Fincantieri, da Vodafone a Tim, da Pirelli ad Eni ed Enel, che hanno consentito e consentiranno anche nel post pandemia il lavoro da remoto.

Nel frattempo, però, si aprono nuovi scenari e nuovi fronti di dibattito, quali orari di lavoro e diritto alla disconnessione.

Andiamo per gradi.

VODAFONE

Partiamo da Vodafone. L’azienda, in piena pandemia, ha permesso a 6.000 persone, il 100% dei dipendenti, di lavorare in smart working, grazie alla remotizzazione di 8 call center. La Tlc, da settembre ha avviato un piano graduale di rientro su base volontaria, racconta Il Sole 24 Ore, per un tempo non superiore al 20% dell’orario lavorativo. Ogni dipendente, però, dovrà prenotare, tramite app, la sua fascia oraria di ingresso in ufficio.

TIM

Anche nella concorrente Tim si lavora da remoto: ci sono 36mila (su 43 mila) dipendenti in smart working, per il 100% dell’orario di lavoro. Dal 15 ottobre, quando dovrebbe concludersi lo stato di emergenza, i dipendenti sceglieranno se rientrare in sede.

Questo non significherà la fine del lavoro agile, Tim infatti ha già intenzione di ridurre i propri spazi del 30%, riporta il Sole 24 Ore. E l’azienda si è mossa, su questo fronte, anche con i sindacati, con cui ha anche disciplinare anche il diritto alla disconnessione.

“Abbiamo tenuto conto della flessibilità della prestazione lavorativa da un lato e della rigidità dei momenti di pausa dall’altro, oltre che del fatto che la società gestisce un servizio pubblico. Di qui la scelta di fare il ragionamento al contrario: ci siamo chiesti innanzitutto quali fossero le fasce orarie in cui era necessaria maggiore copresenza e abbiamo individuato due ore al mattino e due ore al pomeriggio. Per il resto della giornata è il lavoratore a indicare le sue pause dandone comunicazione attraverso gli applicativi aziendali a sua disposizione”, ha raccontato Paolo Chiriotti, responsabile gestione, costo del lavoro e selezione di Tim in una intervista al quotidiano finanziario.

PIRELLI

In Pirelli, in Bicocca a Milano, ben il 75% dei dipendenti è a lavoro da remoto. La percentuale è cresciuta, ai tempi del Covid, di ben il 65%: solo il 10% era in smart working prima del lockdown. Da settembre si prova a rientrare in sede, ma l’emergenza ancora in atto impone l’adozione di un sistema ibrido.

ENI

In casa Eni, come già scritto da Start Magazine, superata l’emergenza, il 15% dei dipendenti è rientrato in presidio in ufficio, ma lo smart working diventerà la nuova politica aziendale: “Pensiamo che fino al 35% dei dipendenti calcolati su un singolo giorno possa lavorare da remoto. Poi le unità organizzative definiranno rotazioni ed ulteriori esigenze”, ha spiegato Granata a Corriere della Sera.

In Italia, nel periodo del lockdown, hanno lavorato da remoto 15.000 dipendenti.

ENEL

Anche Enel predilige lo smart working, almeno fino a Natale. “Quelli che hanno lavorato bene per 2 mesi stando a casa e che possono continuare a farlo senza impattare la loro performance operativa, ci rimangano almeno fino a Natale”, aveva affermato l’amministratore delegato di Enel, Francesco Starace nella diretta Instagram con il sindaco di Firenze Dario Nardella.

Questi due mesi di lockdown, aveva aggiunto, “ci hanno fatto fare collettivamente un salto digitale straordinario”.

FINCANTIERI

Accordo con il sindacato anche per Fincantieri sull’home working. In azienda, il lavoro agile diventa strutturale: ne potranno usufruire circa 1.950 lavoratori, a cui è data la possibilità di lavorare da remoto un giorno a settimana. Previste, nell’accordo, anche una giornata aggiuntiva a settimana per determinate casistiche (esigenze di salute, figli fino a 11 anni, con più di 2 figli età sale a 14 anni, distanza dalla sede maggiore ai 40 km) e ulteriori giornate ai genitori per il periodo precedente al parto e fino al compimento dell’anno di vita del nascituro o in caso di esigenze particolari.

UNICREDIT

Anche Unicredit ha fatto dello smart working una misura non solo emergenziale. La banca, da fine giugno, ha concesso a tutti i dipendenti di poter lavorare da remoto anche da località diverse dalla propria abitazione di residenza.

FASTWEB

Prima del lockdown, a lavorare da casa erano 1.777 dipendenti di Fastweb, diventanti 2.777 in piena emergenza. In smart working era la totalità del personale.

L’azienda, che ha sempre creduto nel lavoro da remoto, prima del Covid, aveva sottoscritto un accordo di secondo livello per estendere lo smart working da 4 a 6 giorni al mese da maggio 2020 e a 8 da maggio del 2021, come racconta CorCom.

LEONARDO

E nell’ex Finmeccanica? In un incontro sul tema al Meeting di Rimini, l’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo, ha detto: “Abbiamo capito che sarà fondamentale non avere le persone permanentemente al lavoro a distanza, quindi ci attrezzeremo per avere una modalità di smart working temporaneo”.

“Significherà cambiare radicalmente tutto il nostro assetto degli uffici, abbiamo calcolato che sarà necessario circa il 30% in meno di spazi”, ha aggiunto, sostenendo che lavorare da remoto “aumenta drammaticamente i rischi di sicurezza digitale, perché la superficie attaccabile aumenta in modo spaventoso”.

SERVONO NUOVE REGOLE?

Mentre lo smart working diventa strutturale nelle aziende, istituzioni e Governi sono chiamati ad affrontare nuovi possibili problemi.

Uno su tutti? Il diritto alla disconnessione. A lavorare su questo fronte e l’Unione Europea: il Parlamento europeo è a lavoro ad una direttiva ad hoc applicabile a chi, pubblico e privato che sia, utilizzi strumenti digitali.

NON CHIAMATELO SMART WORKING

In realtà, quello che noi in questo articolo abbiamo definito smart working, di smart ha davvero poco. Almeno secondo Paolo De Vincentiis, Direttore Risorse Umane e Marketing del Gruppo SGB Humangest, che sul Sole 24 Ore scrive: che quanto disposto dalle aziende in questi mesi “non rispecchia la vera definizione di smart working, ma piuttosto quella di lavoro da remoto o telelavoro”.

Ed i motivi sono molteplici. “Il telelavoro è regolato da un contratto collettivo che disciplina il rapporto tra il datore e i dipendenti, mentre lo smart working si fonda su un accordo individuale tra i singoli, regolato da un contratto scritto”, scrive De Vincentiis, aggiungendo che “Il termine smart, che come sappiamo significa intelligente in lingua inglese, fa riferimento ad un paradigma lavorativo contemporaneo, in cui lo spazio fisico non è predefinito e l’orario è autoderminato. La qualità del lavoro e, di conseguenza, la retribuzione non sono valutate in base al tempo dedicato ad una particolare attività, ma piuttosto al raggiungimento degli obiettivi prefissati”.

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