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Huawei

Vi spiego verità e bufale su Huawei e 5G

L'intervento di Matteo Giuliani (pseudonimo di un manager esperto di tlc)

Caro direttore, ho letto con interesse l’intervista di Marco Orioles all’ottimo Corrado Giustozzi. Il tema dell’intervista gravitava attorno alla querelle Huawei-Trump (anzi Huawei-Usa, anzi Cina-Usa).

La questione è ormai “stagionata” e lo testimonia bene ad esempio il documento “Secure 5G. The Eisenhower National Highway System for the Information Age” di fonte interna alla amministrazione Trump, divenuto di dominio pubblico con un leak portato alla luce da Axios già nel gennaio 2018.

Nel documento, in buona sostanza, si ipotizzava la realizzazione negli Stati Uniti di una unica rete 5G di proprietà e controllo statale. Ciò per rispondere, secondo il team dell’Amministrazione che ha redatto il documento, alle minacce di tipo economico, militare e politico poste nel campo dell’Information&Communication Technology dalla grande rilevanza cinese nell’ormai prossimo deployment delle reti di quinta generazione.

Naturalmente poco importa che poi tale scelta di nazionalizzazione non sia stata seguita, rileva invece l’insieme delle analisi e delle conclusioni sul tema suddetto. Non va nascosto poi per completezza che la questione Huawei / 5G è probabilmente solo un riflesso di una più generale scelta di “decoupling” Usa-Cina fatta sì dalla attuale Amministrazione ma condivisa anche dagli apparati che garantiscono continuità da un Presidente all’altro.

Leggendo le risposte di Giustozzi ad Orioles mi sono sovvenute alcune osservazioni, alcune concordanti, altre meno; vorrei qui di seguito sintetizzarle schematicamente e senza alcuna pretesa di essere esaustivo.

1.

Inizio dicendo che sì, ha perfettamente ragione Giustozzi, Huawei all’interno delle reti degli operatori tlcè in generale presente non soltanto nel segmento di accesso radio (BTS), bensì anche nelle sezioni più “core” (switching IP ad esempio) e nel “trasporto” (DWDM etc.), già ora e da anni.

Cosa cambia o sta per cambiare ora? Sicuramente il tema sicurezza si pone in termini più pesanti vista la maggior pervasività (ovviamente a tendere) dei device 5G. Che non saranno limitati alla “dotazione umana” ma saranno corredo di elettrodomestici, apparecchiature industriali, veicoli (tema ad esempio dell’IoT) etc. Ciò aumenterà a dismisura i punti di vulnerabilità e la complessità per la protezione (security).

E tuttavia mi sembra alquanto sottovalutato il tema del “qui ed ora”, della presenza Huawei all’interno delle reti ora e da anni.

2.

La seconda questione che mi è sembrata rilevante è sintetizzabile in una domanda: “È verosimile che un governo come quello cinese non approfitti di quelle possibilità tecniche di accesso “coperto” (backdoor, firmware ad hoc etc.)? A mio parere, fuor di ipocrisia, la risposta è: ovvio che no! La medesima risposta tuttavia vale per qualsiasi governo, di ogni Paese. E tuttavia la diversa qualità sta nell’essere il Vendor in questione nella sostanziale disponibilità statale (su questo tornerò più avanti), cosa che ovviamente non vale per ogni paese: i player in questo settore si contano sulle dita di una mano, al massimo di due.

Che la Cina giochi un ruolo di attacco non mi sembra possa essere discusso. Non posso certo dilungarmi qui, ma inviterei a leggere a titolo di illuminante esempio un interessante paper, “China’s Maxim – Leave No Access Point Unexploited: The Hidden Story of China Telecom’s BGP Hijacking” – Military Cyber Affairs Vol.3 Issue 1 (Chris C. Demchak, U.S. Naval War College – Yuval Shavitt, Tel Aviv University).  In esso si racconta (con dovizia di dettagli) del “dirottamento” (hijacking) di interi flussi di traffico internet internazionali, esterni alla Cina, caratterizzati da flussi informativi i più disparati (bancari ad esempio), al fine di deviarli e farli fluire, attraversando PoP cinesi, all’interno della rete TLC cinese.

3.

Una questione invece su cui non concordo con l’ottimo Giustozzi è quella del potenziale rischio di monopolio sul 5G. Dal punto di vista tecnologico gli altri due player fondamentali, Nokia ed Ericsson, sono sostanzialmente allineate con Huawei. Si citano spesso di quest’ultima alcune sperimentazioni in campo (anche nel nostro Paese), e tuttavia vorrei ad esempio ricordare che il primo Paese europeo interamente coperto da una rete 5G “live” ed in esercizio, da Tim, è San Marino (dall’ottobre 2018), con il vendor Nokia.

Dal punto di vista del mercato inoltre, anche se è forse poco elegante ricordarlo, un ‘ban’ piuttosto generalizzato su Huawei porterebbe di converso alle manifatturiere concorrenti maggiori volumi di vendita, che consentirebbero loro di ridurre i costi unitari per economia di scala.

4.

Riguardo agli screening preventivi di sicurezza sugli apparati e sui software mi è francamente venuto da sorridere: difficile battere le capacità del produttore hardware e software (qualsiasi esso sia, e di qualunque paese) da parte di enti di certificazione che saranno al massimo fatti da pochi tecno-burocrati preparati e volenterosi ma ovviamente non ‘competitivi’ con coloro che sviluppano apparati e release software con continuità.

5.

C’è a questo punto una questione non eludibile a parer mio (che nasce dalla lettura dell’intervista) riguardo all’utilizzo delle possibilità tecnologiche offerte da vulnerabilità casuali o volute all’interno delle reti di TLC. Che “così faccian tutti”, cioè che tutti i paesi con un dignitoso livello tecnologico (o con adeguate risorse economiche) cerchino di trarne vantaggio per fini economici, politici, di prestigio non vuol dire che tutti possano essere considerati alla pari ed indistinti per l’interesse nazionale italiano. Tutto ciò non ci esime dallo scegliere. Da che parte vogliamo stare, da che parte ci conviene stare in termini geopolitici, da che parte POSSIAMO stare? Io su questo ho zero dubbi.

POST SCRIPTUM

Circa il “profilo” di Huawei e la sua relazione con il Partito/Stato è molto interessante leggere un recente paper di Christopher Balding e Donald Clarke, “Who owns Huawei?

In estrema sintesi, nel paper gli autori sostengono che la struttura proprietaria è sintetizzabile come un 1% attribuibile al fondatore (Ren Zhengfei) ed un 99% riferibile ad un non meglio specificato “Comitato Sindacale”. Sorvolando sulla originaria carriera militare del Fondatore, appare possibile semplificare dicendo che stante l’ordinamento cinese in materia sindacale (…) il sostanziale controllo della società è nelle mani dello Stato cinese.

Un cordiale saluto,

Matteo Giuliani

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