Ci sono tutte le premesse perché il 2026 diventi a memoria d’uomo l’anno “senza memoria”, quella comunemente usata in tutti i dispositivi tecnologici: smartphone, tablet, console e ovviamente computer. Secondo Wallace Santos, amministratore delegato di Maingear, noto costruttore statunitense di Pc personalizzati su misura, la ‘crisi delle Ram‘, come l’ha soprannominata la stampa (riguarda le Dram e le Ddr5) si configurerebbe persino come un “problema pluriennale” senza una fine visibile nel breve periodo.
DA GENNAIO IMPAZZIRÀ IL MERCATO DELLE RAM?
Chi segue il mercato hi-tech sa bene che questa non è la prima crisi che colpisce i chip, la cui produzione localizzata principalmente in un’unica zona del mondo, ovvero Taiwan, ha reso quell’area nuovo epicentro di rinnovate tensioni geopolitiche tra gli Stati Uniti e la Cina, ma secondo Santos mentre le precedenti lasciavano intravedere una “fine” permettendo alle aziende della filiera di pianificare produzione e distribuzione, questa rischia di avere caratteri anomali e una longevità estremamente lunga.
Le conseguenze si stanno già riverberando sulle imprese che fanno largo consumo di Ram: sempre secondo il Ceo di Maingear i costi sostenuti per un kit da 32GB di RAM sono aumentati del 394%, mentre per i moduli da 64GB l’incremento ha raggiunto il 344%.
COME SI MUOVE LA FILIERA
In risposta a questa crisi delle Ram che ha già fatto impazzire i listini, diversi attori si stanno muovendo: la stessa Maingear, per esempio, ha lanciato il programma “Bring Your Own RAM” che consente ai clienti di fornire la propria memoria da installare nel PC personalizzato che stanno acquistando oppure di acquistare i moduli separatamente da rivenditori terzi che riescono a calmierare i prezzi e inviarli all’azienda del New Jersey per l’assemblaggio.
La newyorkese Paradox Customs ha recentemente annunciato una iniziativa simile per evitare del tutto l’acquisto di Ram ripescando quelle utilizzate da vecchie build. Ma a sorprendere è l’indiscrezione secondo la quale l’azienda taiwanese Asus starebbe studiando la creazione di linee produttive proprie per la realizzazione di Dram così da garantire una fornitura stabile ai suoi prodotti di punta nel gaming Rog e Tuf, oggi dipendenti da fornitori esterni come Samsung e Micron.
IL GIAPPONE ABBASSA LE SERRANDE
Restando nell’estremo oriente, secondo quanto riportato da IT Media, almeno tre importanti rivenditori hardware giapponesi hanno limitato se non persino completamente interrotto la vendita di Pc a causa delle difficoltà nel reperire la memoria Ram. Sycom ha prima bloccato gli ordini online tra il 16 e il 19 dicembre, quindi ha ripreso ad accettarli con l’avviso che non si conoscono i tempi di evasione.
G-Gear ed eX.computer che fanno parte del medesimo gruppo industriale hanno interrotto l’accettazione di nuovi ordini e i relativi store hanno sospeso le spedizioni per il resto del 2025. Mouse Computers per il momento accoglie ancora ordini ma avverte di tempi di consegna non definibili legati appunto a un approvvigionamento di Ram che si fa sempre più saltuario.
COME MAI IL MONDO HA FAME DI RAM?
Secondo alcuni analisti, a sparigliare le carte sarebbe stato il contratto siglato a ottobre proprio tra i giganti sudcoreani dei chip Samsung e Sk Hynix per garantire a OpenAi, software house di Sam Altman principalmente nota per ChatGpt, quasi la metà della produzione mondiale di Dram.
Non è un caso che l’americana Micron Technology abbia annunciato proprio in questo periodo la chiusura definitiva del marchio Crucial che si riferiva al comparto consumer per focalizzarsi esclusivamente come fornitore dei datacenter per intelligenza artificiale aziendale.
Tutte queste memorie saranno indirizzate a sostenere e alimentare i data center del colossale progetto Stargate voluto da Trump e che dunque non può ammettere slittamenti. Una mossa che ora rischia di lasciare a corto di memorie volatili tutte le altre aziende investendo una pluralità di settori.
LE SPIRE DEL DRAGONE SI STRINGONO ATTORNO A TAIWAN?
Data la situazione emergenziale in un comparto che alimenta in prima battuta quello della tecnologia di frontiera che è divenuto il nuovo terreno di scontro tra Washington e Pechino non è certo un caso che stia salendo la tensione attorno all’isola che produce chip.
Il Comando del teatro orientale dell’Esercito popolare di liberazione cinese (Pla) nelle ultime ore ha diffuso un avviso e una mappa schematica di cinque aree attorno all’isola di Taiwan entro le quali si stanno tenendo esercitazioni militari congiunte tra Esercito, Marina e Aeronautica.
L’operazione, nome in codice “Missione Giustizia 2025”, è stata ampiamente enfatizzata dalla Cina e pare un segnale indirizzato oltreoceano, alla Casa Bianca che solo qualche settimana fa era riuscita a convincere Taiwan a investire 40 miliardi extra per la propria difesa.
Pechino ha sottolineato che l’operazione contemplerà l’uso di munizioni vere intorno all’isola con l’obiettivo di testare quella che ha definito la “prontezza al combattimento” e per inviare un “serio avvertimento” contro qualsiasi tentativo di indipendenza rivendicata da Taipei che dal canto suo parla di “intimidazione militare”. Una situazione incandescente che non aiuterà certo a riportare entro i confini ordinari i prezzi delle Ram nei negozi.







