Applicare l’Intelligenza artificiale ai social si sta rivelando più ostico del previsto per Meta, la Big Tech di Mark Zuckerberg che, oltre a normarne l’utilizzo al proprio interno, sta investendo miliardi su un proprio algoritmo proprietario noto come Meta AI, con cui spera tra l’altro di rilanciare i giochi in VR e AR e rilanciare quindi il metaverso. Ma andiamo con ordine.
IL FRONTE ANTI AI SU INSTAGRAM
Anzitutto nei giorni scorsi su Instagram si è concretizzata una vera e propria fronda costituita da artisti e fotografi più o meno famosi contrari all’uso dell’AI su una piattaforma che questi utenti usano soprattutto a scopi commerciali, a stregua di vetrina virtuale delle proprie opere.
Mentre la polemica cresceva, Cara – giovanissima startup innovativa con alle spalle un pugno di persone appassionate di arte e innovazione che sul web si sostanzia come piattaforma in cui pubblicare foto e disegni – ha iniziato a sottrarre al gruppo di Menlo Park non pochi utenti provenienti da Facebook ma soprattutto da Instagram, tutti risentiti per il libero accesso che la Big Tech ha concesso alle AI.
Il nome della fondatrice del social network simil Instagram ma con maggiore attenzione all’operato delle Intelligenze artificiali è piuttosto noto nell’ambiente artistico: Jingna Zhang, è infatti una fotografa cinese che vanta collaborazioni con Vogue, Elle e Harper’s Bazaar. Ma, negli ultimi tempi, è rimbalzato anche sui giornali generalisti in quanto Zhang e altri tre artisti stanno facendo causa a Google per il presunto utilizzo delle loro opere protette da copyright che sarebbe stato sfruttato per addestrare Imagen, un generatore di immagini AI. Non solo: Zhang è anche parte lesa in una causa simile contro Stability AI, Midjourney, DeviantArt e Runway AI.
“Le parole non possono descrivere quanto sia disumanizzante vedere il mio nome usato più di 20.000 volte in MidJourney”, ha scritto in un post sui suoi social. “Il lavoro della mia vita e ciò che sono, ridotto a foraggio insignificante per una macchina mangiasoldi dell’immagine commerciale”.
IL BOLLINO MADE WITH AI DI INSTAGRAM
Può sembrare paradossale, ma una startup del calibro di Cara è riuscita a impensierire il Golia dei social, dato che nel giro di poche settimane Meta ha fatto apparire sulle proprie un apposito bollino, Made with AI, per contrassegnare le foto realizzate con l’Intelligenza artificiale pubblicate su Instagram. In questo modo i fotografi professionisti non dovrebbero più temere chi usa trucchi digitali.
LE CRITICHE DELL’EX FOTOGRAFO DELLA CASA BIANCA
Una novità che a sorpresa ha creato altri malumori, sempre tra gli artisti. Ha persino mugugnato l’ex fotografo della Casa Bianca, Pete Souza (oltre 3 milioni di follower su Intastram) che si è visto contrassegnare una foto di 40 anni fa col loghino “Made with AI”. Souza ha ipotizzato che l’utilizzo degli strumenti di ritaglio e appiattimento di Adobe Photoshop possa aver innescato l’etichetta. E non è il solo caso.
META TIRA DRITTO
Meta dal canto suo non sembra intenzionata ad addolcire il proprio algoritmo che ha il delicato compito di verificare se una foto è artificiale o meno, anche a costo di scambiare interventi di post produzione con contenuti originati in toto dall’Intelligenza artificiale tant’è che, dopo le ultime polemiche, si è limitata a cambiare il bollino “Made with AI” col più laconico e generico “AI info”.
“Come abbiamo detto fin dall’inizio, stiamo costantemente migliorando i nostri prodotti di intelligenza artificiale e stiamo lavorando a stretto contatto con i nostri partner del settore sul nostro approccio all’etichettatura dell’IA”, ha dichiarato la portavoce di Meta, Kate McLaughlin. Insomma, polemica chiusa? Affatto, perché i fotografi comunque non ci stanno, specie i professionisti, a passare per dei ritoccatori di foto, soprattutto se, viene fatto notare da più parti, hanno adoperato i programmi di editing solo per ritagliare un particolare al fine di centrarlo o limitandosi a schiarire/scurire lo scatto.
META AI BLOCCATO IN EUROPA
Ma i grattacapi che l’AI sta causando a Zuckerberg non sono affatto finiti. Il tema più pressante per il Gruppo è quello che rischia di rallentarne la corsa per lo sviluppo di una propria AI: Menlo Park vorrebbe sfamarla con i dati dei propri utenti, così da farlo “a chilometro zero” e, soprattutto, a costo zero (si pensi agli accordi che OpenAI e le altre software house stanno stringendo con gli editori per poter lasciare libere le loro AI di razziare le news online). Ma sempre più Stati si oppongono.
Le recenti restrizioni normative Ue, in combinazione con gli altolà avanzati dall’autorità irlandese per la tutela della privacy e dall’omologo britannico, hanno spinto Meta a mettere al guinzaglio, almeno per il momento, alla propria AI al pascolo su Instagram e Facebook.
Meta si è detta “delusa” dalla situazione, “soprattutto perché – la replica della compagnia statunitense – abbiamo incorporato il feedback del regolatore e le [Autorità per la protezione dei dati] europee sono state informate fin da marzo”. Nell’ultimo periodo Meta aveva iniziato a notificare agli utenti europei che avrebbe raccolto i loro dati offrendo in cambio un’opzione di opt-out nel tentativo di rispettare le leggi europee sulla privacy.
Ma l’aspetto più curioso è che la replica, in modo inconsueto, include una giustificazione che tira in ballo le rivali: “Stiamo seguendo l’esempio di altri, tra cui Google e OpenAI, che hanno già utilizzato i dati degli europei per addestrare l’intelligenza artificiale.” Insomma, in modo nemmeno troppo velato il Gruppo di Menlo Park lascia intendere che nel Vecchio continente ci sarebbero trattamenti di favore.
ANCHE IL BRASILE CHIEDE LO STOP
Una volta tanto l’Unione europea non si è rivelata la sola autorità bacchettona. Pure l’omologa brasiliana per la protezione dei dati ha vietato nelle scorse a Meta di utilizzare i post degli utenti dei social network per migliorare la propria intelligenza artificiale. Per le autorità brasiliane, questo comporterebbe “il rischio di gravi danni e di difficile risoluzione per gli utenti”.
L’Autorità ha dato a Meta cinque giorni per mettersi in regola: in caso contrario l’azienda rischia una multa di 50mila real (circa 8.350 euro) per ciascun giorno di messa in mora. Uno stop più grave di quanto si creda per il Gruppo che ha esigenza di testare i propri algoritmi in tutti i mercati del mondo, così da fargli capire le lingue maggiormente diffuse, sfumature, abbreviazioni, slang inclusi. Ma, soprattutto, un nuovo argine all’agire di Meta che intendeva trattare come cosa propria i materiali elaborati dagli utenti.