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Che cosa servirà all’Esercito. Parla Andrea Gilli

Con il ritorno della guerra di terra anche per l’Esercito italiano si apre una fase di transizione. Può aiutare una legge terrestre come quella della Marina, con la creazione di un polo industriale. L'intervista ad Andrea Gilli, Senior Researcher al Nato Defense College, estratta dall'ultimo numero del quadrimestrale Start Magazine

Secondo l’ultimo rapporto Nato, la spesa italiana per la difesa nel 2022 ammontava all’1.51% del Pil, rispetto all’1,57% nell’anno precedente, ancora lontano dal 2% minimo richiesto.  Ma al di là dell’obiettivo di budget, che tipo di maggiore impegno italiano ci sarà nella nuova strategia della Nato?

La Nato chiede ai paesi membri di spendere almeno il 2% del Pil in difesa e almeno il 20% di questo 2% in modernizzazione, ovvero nuove capacità, presenti e future. Questo obiettivo è stato poi trasformato in impegno nel 2014, dopo il vertice del Galles, che ha avuto luogo pochi mesi dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia. L’invasione dell’intera Ucraina, avvenuta lo scorso anno, ha però cambiato il paradigma. Per molti infatti il 2% non può più essere un obiettivo, ma dovrebbe diventare addirittura punto di partenza per affrontare un periodo in cui l’Europa è minacciata direttamente dalla Russia. In quel caso, l’Italia, che oggi spende circa l’1,5% del Pil in difesa dovrebbe aggiungere almeno uno 0,5%, ovvero aumentare la propria spesa di circa il 30%. Ovviamente, bisogna vedere se ciò accadrà e in quali tempi questo passaggio sarà possibile. La spesa in difesa ha quattro principali voci: personale (stipendi e pensioni), modernizzazione (equipaggiamento,  ricerca e sviluppo), operazioni, e infrastrutture.

L’Italia, rispetto ad alcuni partner Nato, spende di più nella prima voce, personale. Quindi un aumento della spesa dovrebbe essere probabilmente destinato o a modernizzazione o alle operazioni. È però ovvio che le due voci vadano di pari passo: per fare più operazioni, di maggiore entità, o più a lungo, serve maggiore equipaggiamento che, a sua volta, richiede in alcuni casi nuove o diverse infrastrutture.

La guerra in Ucraina ha acceso i riflettori sul settore della difesa, in particolare è emerso il punto di debolezza degli eserciti europei. Oltre alle risorse necessarie da investire, quali sono oggi gli strumenti necessari per ottenere una forza efficiente?

Una forza militare moderna si compone di più elementi: personale addestrato e motivato, mezzi moderni e disponibili e infrastrutture adeguate per esercitazioni ed operazioni. All’aspetto qualitativo si aggiunge quello quantitativo: bisogna avere personale, mezzi ed infrastrutture per affrontare le minacce esistenti. Tutte le forze armate europee, a partire dalla fine della Guerra fredda, hanno ridotto la spesa in difesa, intaccando principalmente le voci relative all’acquisto di equipaggiamento, all’addestramento e alle operazioni. Questa riduzione della spesa ha però intaccato anche l’industria, che si è consolidata, portando ad alcuni gruppi di dimensioni nazionale o multinazionale, ma ha anche ridotto gli stabilimenti produttivi. Con la guerra russa in Ucraina, ci si è resi conto che è necessario avere forze armate in grado di lanciare operazioni più importanti, di maggiore durata ed eventualmente intensità. Per lanciare queste operazioni servono però riserve, di personale, di mezzi e anche riserve industriali, in grado di produrre rapidamente quanto serve. Le forze armate europee si stanno attrezzando per risolvere questa criticità.

Una delle possibilità di miglioramento per l’Italia sta nel rinnovo dei sistemi cingolati, ad esempio nelle componenti AIFV e MBT. In che direzione sta andando l’Esercito?

L’Esercito italiano, come tutti gli eserciti europei, sta facendo un’importante transizione. Con la fine della Guerra fredda, ci si è attrezzati per missioni a distanza e a bassa intensità. Ciò richiede capacità logistiche di trasporto e mezzi relativamente leggeri, sia per facilitare i movimenti che per affrontare le sfide sul campo. Con il ritorno della guerra di terra, tutti gli eserciti europei stanno rafforzando e, in alcuni casi ricostruendo, le loro componenti più pesanti. A ciò si aggiunge ovviamente il cambiamento tecnologico che, negli ultimi trent’anni, ha cambiato radicalmente il campo di battaglia. Ai programmi menzionati, si aggiunge dunque l’importante sperimentazione nel campo dei sistemi senza pilota. L’Unione Europea, tramite il Fondo europeo per la difesa, finanzia e sostiene alcune di queste iniziative. La guerra non cambia nella sua natura, ma evolve e con essa le tecnologie: sia per aumentare l’efficacia sul campo che per garantire le nostre truppe, è fondamentale investire in tecnologie emergenti così da mantenere la leadership sul campo di battaglia anche domani.

In audizione alla Commissione Difesa della Camera, il capo di Stato maggiore dell’Esercito, generale Pietro Serino, ha legato la questione del rinnovamento dei mezzi dell’Esercito alla necessità di una legge terrestre (sul modello di quella navale varata per la Marina) che includa la creazione di un polo industriale con Iveco-Oto Melara. È una strada al momento percorribile?

Le esigenze di tutte le forze armate italiane ma anche all’estero guardano a un rinnovamento delle flotte, una modernizzazione che vada a colmare eventuali lacune, ma soprattutto a introdurre nuovi mezzi che sfruttino nuove tecnologie. Con la fine della Guerra fredda il numero di stabilimenti produttivi dedicati alla produzione di mezzi è diminuito sensibilmente, riducendone di conseguenza la produzione. Quando si ha di fronte un avversario aggressivo e intenzionato a combattere bisogna avere la capacità di produrre velocemente numeri elevati, e questo richiede una solida base industriale. Conviene quindi considerare maggiormente dinamiche industriali che favoriscano i cosiddetti distretti industriali, ossia un ecosistema in cui più aziende – pur specializzandosi in ambiti differenti –  collaborano e interagiscono frequentemente per comprendere quali sono le sfide tecnologiche, presenti e future, con cui dovranno avere a che fare. Penso che una legge terrestre, come nel caso della Marina, possa servire per favorire questo virtuoso ciclo di cooperazione tra più mondi, forze armate e industria, tra più aziende, e soprattutto tra più tecnologie (hardware e software, in primis).

Ancora appare incerto il futuro del prossimo carro armato Main Ground Combat System (Mgcs) franco-tedesco. Qual è ad oggi la prospettiva migliore per il prossimo Eurotank?

È difficile rispondere, però ci sono alcuni tratti abbastanza costanti. Se guardassimo al procurement militare degli ultimi settant’anni, la cooperazione tra Paesi è diventata un elemento sempre più importante per contenere la crescita dei costi derivante dall’aumento della complessità tecnologica. Allo stesso tempo, tale cooperazione non è sempre facile: ci sono esigenze operative diverse, priorità o considerazioni. Detta in maniera semplice, un Paese può volere un carro più leggero mentre un altro vuole più protezione dal fuoco nemico; un Paese può volere maggiore capacità di fuoco, mentre un altro maggiore invisibilità a sensori avversari. Queste diverse esigenze rallentano la cooperazione, prima a livello politico e poi a livello tecnologico. A ciò si aggiungono legittime ed inevitabili tensioni relative ai ritorni industriali e all’export.

In merito al carro Mgcs, è difficile prevedere quali saranno le fasi di sviluppo del progetto. In passato ci sono stati programmi multinazionali che hanno affrontato significative difficoltà, ma poi hanno avuto successo: l’Eurofighter e l’A400M sono due esempi. In altri casi, alcuni programmi sono stati abbandonati e portati a una fine precoce: è il caso della fregata Nato comune di fine anni Ottanta. L’industria europea dei mezzi terrestri ha una dimensione principalmente nazionale. Il futuro Eurotank verrà influenzato dagli aumenti di spesa dei vari Paesi europei e dagli ordinativi.

(Le opinioni espresse in questa intervista sono personali e non riflettono né quelle dell’Alleanza atlantica e tanto meno quelle del Nato Defense College.

 

Articolo estratto dall’ultimo numero del quadrimestrale Start Magazine, qui per scaricarlo

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