La cosiddetta Big Beautiful Bill (“Grande e bellissima legge”), cioè il provvedimento fiscale e di spesa voluto dal presidente americano Donald Trump e approvato martedì dal Senato e ieri dalla Camera, potrebbe stimolare gli investimenti nella produzione di semiconduttori avanzati negli Stati Uniti.
COSA C’È NELLA BIG BEAUTIFUL BILL SUI SEMICONDUTTORI
La legge, infatti, contiene un aumento dal 25 al 35 per cento del credito d’imposta per le aziende manifatturiere di semiconduttori che decidono di aprire fabbriche negli Stati Uniti prima della fine del 2026. Della norma – nella versione approvata a fine maggio dalla Camera l’aumento era più modesto, al 30 per cento – potranno beneficiarne sia le società statunitensi come Intel e Micron Technology, sia le straniere come la taiwanese Tsmc.
IL CHIPS ACT SECONDO TRUMP E I REPUBBLICANI
L’aumento del credito d’imposta si inserisce nel Chips and Science Act, una delle leggi più importanti della presidenza di Joe Biden: è entrata in vigore nell’agosto 2022 e stanzia oltre 50 miliardi di dollari per la manifattura di semiconduttori sul territorio americano, più altri fondi pubblici per la ricerca in materia. Al tempo, il Chips Act venne approvato con il sostegno sia dei democratici che di alcuni repubblicani: infatti, nonostante il ricorso massiccio ai sussidi statali – generalmente sgraditi ai conservatori -, la legge affronta anche questioni care al partito rappresentato da Trump, come il rafforzamento dell’industria manifatturiera nazionale e il contrasto della Cina, la principale rivale politica ed economica degli Stati Uniti.
Nei mesi scorsi, però, Trump definì il Chips Act “una cosa orribile, orribile. Diamo alle aziende centinaia di miliardi di dollari e non significa nulla. Prendono i nostri soldi e non li spendono. Dovreste”, aggiunse, riferendosi ai membri del Congresso, “sbarazzarvi del Chips Act e quello che rimane […] dovreste usarlo per ridurre il debito”.
Secondo Trump, in sostanza, non c’è bisogno di incentivare con soldi pubblici le aziende di microchip affinché aprano delle fabbriche negli Stati Uniti: basta minacciarle con i dazi sulle importazioni. Per il presidente, infatti, le tariffe non sono soltanto uno strumento per riequilibrare la bilancia commerciale ma anche una leva di pressione politica e un mezzo di attrazione degli investimenti negli Stati Uniti, al posto degli aiuti pubblici (i sussidi erano invece l’approccio preferito da Biden).
Non tutti i repubblicani sono così contrari al Chips Act. Lo speaker della Camera, Mike Johnson, disse ad esempio che la sua cancellazione “non è nei piani” del Partito repubblicano; “al contrario, si potrebbe legiferare per snellire e migliorare ulteriormente l’obiettivo primario” della legge.
LE ULTIME MOSSE DELL’AMMINISTRAZIONE TRUMP SUI CHIP
Il mese scorso il segretario del Commercio, Howard Lutnick, ha detto che l’amministrazione Trump stava rinegoziando alcuni finanziamenti effettuati durante la presidenza Biden. La Casa Bianca sta anche svolgendo un’indagine sulle importazioni di tecnologie per il chipmaking che potrebbe comportare un aumento dei costi di approvvigionamento per le aziende negli Stati Uniti.