Riparato a Dubai dopo l’arresto dell’agosto del 2024 a Parigi, Pavel Durov, il 40enne fondatore e amministratore delegato di Telegram (l’app di messaggistica coi numeri per sfidare il monopolio di WhatsApp di Meta), torna ad attaccare la Francia.
PERCHE’ IL NUMERO 1 DI TELEGRAM ATTACCA (ANCORA) LA FRANCIA
Sebbene la sua odissea giudiziaria sia ben lungi dall’essere finita, l’imprenditore russo proprio via Telegram ha deciso di menar fendenti in direzione di Parigi. Per la precisione nei confronti del prefetto della capitale francese accusandolo di voler resuscitare una legge approvata dal Senato ma respinta nel passaggio all’Assemblea Nazionale che avrebbe obbligato le app di messaggistica a integrare una backdoor per consentire alla polizia l’accesso alle informazioni inerenti i messaggi scambiati dagli utenti.
LA LEGGE DISINNESCATA DALL’ASSEMBLEA NAZIONALE
“I membri dell’Assemblea Nazionale sono stati saggi nel respingere una legge che avrebbe reso la Francia il primo Paese al mondo a privare i suoi cittadini del diritto alla privacy”, ha commentato Durov che poi ha sottolineato come “Anche i Paesi che molti europei considerano privi di libertà non hanno mai vietato la crittografia. Perché?” Naturalmente a rispondere è lo stesso founder di Telegram: “Perché è tecnicamente impossibile garantire che solo la polizia possa accedere a una backdoor. Una volta introdotta, una backdoor può essere sfruttata da altre parti, dagli agenti stranieri agli hacker. Di conseguenza, i messaggi privati di tutti i cittadini rispettosi della legge possono essere compromessi”, spiega Durov.
LE OBIEZIONI DI DUROV
“Finalizzata a prevenire il traffico di droga”, continua il numero 1 di Telegram, “la legge non avrebbe comunque aiutato a combattere il crimine. Anche se le principali app criptate fossero state indebolite da una backdoor, i criminali avrebbero potuto comunicare in modo sicuro attraverso decine di app più piccole, diventando ancora più difficili da rintracciare grazie alle VPN”.
TELEGRAM STA GIÀ FORNENDO INFORMAZIONI ALLA FRANCIA
Lo stesso Durov per ottenere la liberazione in attesa del processo aveva iniziato a collaborare con le autorità francesi, che muovono nei confronti dell’imprenditore russo accuse assai pesanti, accelerando il processo di adesione al Dsa comunitario e accettando a malincuore di fornire gli indirizzi Ip dei soggetti su cui la magistratura d’Oltralpe indaga.
Ma Parigi starebbe a quanto pare provando a ottenere di più arrivando a leggere anche le chat degli utenti sotto indagine: “Telegram preferirebbe uscire da un mercato” nazionale “piuttosto che compromettere la crittografia con backdoor e violare i diritti umani fondamentali: a differenza di alcuni nostri concorrenti, noi non barattiamo la privacy” in cambio della presenza in una data nazione, l’affondo di Durov. Nel 2024 la principale rivale di WhatsApp ha raggiunto il miliardo di utenti e 547 milioni di dollari di ricavi.
SI MUOVE ANCHE LA UE?
I guai per Durov però non sono finiti: oltre al processo che dovrà affrontare in Francia, pure le autorità europee stanno bussando alle porte di Telegram: “La battaglia è tutt’altro che conclusa”, ha detto infatti l’imprenditore. “Questo mese, la Commissione europea ha proposto un’iniziativa simile per aggiungere backdoor alle app di messaggistica. Nessun Paese è immune dalla lenta erosione delle libertà. Ogni giorno queste libertà vengono attaccate e ogni giorno dobbiamo difenderle”, ha chiosato fingendo di ignorare che parte degli iscritti alla sua app porta avanti traffici poco legali allettata proprio dalle garanzie di riservatezza garantite dal patron di Telegram, che infatti anche questa volta ribadisce come “Nei suoi 12 anni di storia, Telegram non” abbia “mai divulgato un singolo byte di messaggi privati . In conformità con il Digital Services Act dell’UE, se provvisto di un valido ordine del tribunale, Telegram rivelerebbe solo gli indirizzi IP e i numeri di telefono dei sospettati di reati, non i messaggi”.