Le grandi aziende tecnologiche cinesi, come Ant di Alibaba o il colosso dell’e-commerce Jd.com, hanno sospeso i piani per l’emissione di stablecoin a Hong Kong dopo che le autorità centrali si sono mostrate preoccupate per l’avvento di monete gestite dal settore privato. Le stablecoin sono valute digitali dal valore stabile, solitamente agganciato a quello del dollaro statunitense o di un’altra moneta fiat.
L’ANTEFATTO
Questa estate la regione amministrativa speciale di Hong Kong – che funge un po’ da banco di prova nazionale per le criptovalute, essendo queste ultime vietate nella Cina continentale – ha approvato una legge che consente ad alcune società dotate di apposita licenza di emettere dei token sostenuti da una moneta fiat. Le autorità finanziarie del territorio avevano precisato che l’esperimento sarebbe stato limitato e che sarebbero state rilasciate solo poche licenze, a partire dall’anno prossimo.
Sia Ant che Jd.com avevano mostrato interesse.
COSA È SUCCESSO
Tuttavia, stando alle fonti del Financial Times, le aziende cinesi hanno messo in pausa questi progetti dopo aver ricevuto dalle autorità di regolamentazione – tra cui la banca centrale e la Cyberspace Administration of China, che vigila su Internet – l’istruzione di non procedere oltre.
In particolare, la Banca popolare cinese vuole evitare che le grandi società tecnologiche e gli intermediari privati abbiano la possibilità di emettere valuta di qualunque forma. Inoltre, le stablecoin sono state interpretate come una potenziale minaccia al progetto statale sullo yuan digitale, o e-Cny: non è una stablecoin né una criptovaluta “tradizionale”, bensì una moneta digitale della banca centrale, che – come da nome – è emessa e gestita a livello centralizzato.
UNA RISPOSTA AGLI STATI UNITI
La Cina sta studiando e interrogandosi sulle stablecoin perché teme che la diffusione di quelle basate sul dollaro possa rafforzare ulteriormente lo status internazionale della moneta statunitense, sia come valuta di riserva che per quanto riguarda il suo utilizzo nell’economia globale. D’altra parte, Pechino non può puntare convintamente su questa tecnologia – che pure potrebbe favorire l’internazionalizzazione dello yuan, il suo utilizzo nei pagamenti transfrontalieri e il distacco dallo standard Swift – perché contraddice la sua linea di controllo sul settore finanziario.
Anche la Banca centrale europea è piuttosto scettica sulle stablecoin, se non ostile. La presidente Christine Lagarde, infatti, ha dichiarato che questi token comportano dei rischi per la sovranità monetaria e la stabilità finanziaria dell’Unione, invitando a sostenere piuttosto il lancio dell’euro digitale, ovvero una valuta digitale della banca centrale.
LA GIRAVOLTA DELLA CINA SULLE STABLECOIN
Eppur soltanto lo scorso giugno l’ex-viceministro delle Finanze della Cina, Zhu Guangyao, aveva dichiarato che Pechino doveva sviluppare una stablecoin basata sullo yuan per reagire alle mosse degli Stati Uniti. “Lo scopo strategico dietro la promozione delle stablecoin da parte degli Stati Uniti è preservare la supremazia del dollaro”, aveva detto. “Dovremmo sfruttare appieno i programmi pilota di Hong Kong. La stablecoin in renminbi [un altro nome dello yuan, ndr] deve essere integrata nella progettazione complessiva della strategia finanziaria nazionale”.
L’INTERVENTO DELL’EX-GOVERNATORE DELLA BANCA POPOLARE CINESE
L’atteggiamento delle autorità deve essersi fatto più prudente a seguito di un discorso dell’ex-governatore della Banca popolare cinese, Zhou Xiaochuan, lo scorso luglio. Intervenuto a un evento a porte chiuse del China Finance 40 Forum, Zhou aveva infatti invitato a prestare attenzione ai rischi sistemici legati alle stablecoin: “dobbiamo essere vigili sul rischio che le stablecoin vengano utilizzate in modo eccessivo per la speculazione sugli asset, poiché una cattiva direzione potrebbe innescare frodi e instabilità nel sistema finanziario”. E poi: “sebbene molti ritengano che le stablecoin rivoluzioneranno il sistema dei pagamenti, in realtà lo spazio per ridurre i costi è minimo, soprattutto nei pagamenti al dettaglio”.