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Ecco quanto spendono le lobby di Google, Facebook, Microsoft e non solo in Europa

Quanto spendono le lobby dei grandi gruppi tecnologici come Google, Facebook e Microsoft per le loro opere di convincimento in Europa? L'approfondimento di Policy Maker

Dai tempi in cui Mario Monti sedeva alla Commissione europea e comminava maxi ‘multe’ a Microsoft e Nintendo, non è mai corso buon sangue tra il Club del Vecchio continente e i colossi del tech. Probabilmente perché le aziende tecnologiche sono quasi sempre d’origine straniera (in principio statunitensi, adesso avanzano anche le realtà cinesi) e l’Unione europea ha dunque giocato nel ruolo di difesa, del consumatore, piuttosto che da protagonista. Per oliare i meccanismi, i  colossi del Web – e non solo – esercitano pressioni: Bruxelles regolamenta in modo rigido l’attività di lobby e non manca di rendere pubblici gli incontri tra i rappresentanti delle istituzioni e le aziende private. Ma quanto spendono queste realtà per la loro opera di convincimento?

Alla domanda risponde il report “The Lobby Network- Big tech’s web of influence in the Eu”, curato dal Corporate Europe Observatory e Lobbycontrol, che i lettori di Policy Maker possono comodamente scaricare qui. Lo studio rivela dati piuttosto interessanti. Secondo il censimento, infatti, sono 612 le aziende, i gruppi di interesse e le associazioni di imprese che esercitano pressioni sulle politiche dell’economia digitale dell’Ue, per una spesa complessiva annuale di oltre 97 milioni di euro con l’obiettivo di essere determinanti in ciò che viene deciso nella sala dei bottoni comunitaria. “Ciò rende la tecnologia il più grande settore di lobby dell’Ue davanti a farmaceutico, combustibili fossili, finanza e chimica”, si legge nel report.

Ma non sono le sole conclusioni che vengono tratte dai curatori dello studio. “Per la prima volta – si legge -, mappiamo l’universo di attori che esercitano pressioni sull’economia digitale dell’Ue, dai giganti della Silicon Valley ai contendenti di Shenzhen, dalle aziende create online a quelle che realizzano l’infrastruttura che fa funzionare Internet, dai giganti della tecnologia ai nuovi arrivati” e la conclusione è che siamo di fronte a uno scenario “profondamente squilibrato”.

Secondo gli analisti “il potere del settore digitale dovrebbe essere un campanello d’allarme per mettere in atto una regolamentazione delle lobby più rigorosa sia a livello dell’UE che degli Stati membri e per assicurarsi che vengano creati nuovi strumenti per limitare il potere delle società che altrimenti lo userebbero per modellare la legislazione secondo i propri interessi”.

Le aziende sono infatti tante, ma quelle in grado di influenzare le istituzioni piuttosto poche: Vodafone, Qualcomm, Intel, Ibm, Amazon, Huawei, Apple, Microsoft, Facebook e Google spendono più di 32 milioni di euro per essere influenti nelle decisioni dell’Ue. O quantomeno provarci. Il 20% dei colossi della lobby ha sede negli Stati Uniti, meno dell’1% ha sedi in Cina o a Hong Kong. Le prime dieci per fatturato si spartiscono da sole un terzo della spesa totale delle lobby tecnologiche.

“Gli enormi budget per le lobby di Big Tech – spiega il report – hanno un impatto significativo sui decisori politici dell’UE: regolarmente lobbisti digitali bussano alla loro porta. L’attività di lobbying sulle proposte per il pacchetto Digital Services [Regolamento sui servizi digitali (Dsa) e il Regolamento sui mercati digitali (Dma) ndR] e il tentativo dell’UE di frenare la Big Tech, fornisce l’esempio perfetto di come l’immenso budget delle aziende fornisca loro un accesso privilegiato: funzionari di alto livello della Commissione hanno tenuto 271 riunioni, il 75% delle quali con lobbisti del settore. Google e Facebook hanno guidato il gruppo”.

(Articolo pubblicato su Policy Maker)

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