Proteggere i minori dall’accesso alla pornografia ma non solo. I rischi online per i più giovani si insidiano anche in altri ambienti digitali, a partire da social network come Instagram e TikTok, che sono utilizzati praticamente da quasi tutti. Ecco perché l’Unione europea, venerdì scorso, ha presentato un documento informale per chiedere di rafforzare la protezione dei minori online introducendo il concetto di “maggiore età digitale pan-europea”.
LA PROPOSTA EUROPEA
Nel corso del Consiglio Telecomunicazioni della settimana scorsa, la Grecia, insieme a Danimarca, Francia e Spagna, ha avanzato la proposta di una “maggiore età digitale” comune in tutti i Paesi Ue per limitare l’uso delle piattaforme online da parte dei minori, alla luce di un numero crescente di prove che mostrano gli effetti negativi dei social media sulla salute mentale e fisica dei più giovani.
Secondo la proposta – a cui anche Italia, Cipro e Slovenia si sono unite – per accedere a queste piattaforme sarebbe necessario il consenso dei genitori e nuovi standard minimi di design adeguati all’età che riducano “al minimo architetture persuasive e che creano dipendenza”.
A maggio, inoltre, l’Ue ha pubblicato delle linee guida provvisorie e non vincolanti per aiutare le piattaforme a proteggere i minori. Queste, in attesa che si concluda la consultazione pubblica in corso, includono misure come impostare di default gli account dei bambini come privati e rendere più semplice bloccare e silenziare altri utenti.
NON TUTTI D’ACCORDO
Per Francia, Grecia e Danimarca il divieto di accesso ai social media dovrebbe essere per i minori di 15 anni, mentre la Spagna lo alzerebbe fino a 16.
L’Australia ha già imposto il divieto per i minori di 16 anni a partire da quest’anno e Nuova Zelanda e Norvegia ne stanno valutando uno simile.
Tuttavia, stando a France24, al momento nell’Ue non sembra esserci un reale consenso su tale limitazione. Come ha spiegato Henna Virkkunen, vicepresidente esecutivo della Commissione europea per la sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia, fissare limiti di età specifici sarebbe “una sfida” per molte ragioni, tra cui le differenze culturali tra gli Stati membri e le difficoltà pratiche nell’applicazione.
LA BATTAGLIA DELLA DANIMARCA
Ma la Danimarca, che assumerà la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue il 1° luglio, non ha intenzione di arrendersi e infatti ha annunciato che intende dedicare l’intera agenda del suo incontro informale dei ministri digitali del 9-10 ottobre alla protezione dei minori online.
“È qualcosa per cui continueremo a batterci”, ha dichiarato la ministra danese per il Digitale, Caroline Stage Olsen. Sebbene il Digital Services Act (Dsa) obblighi le piattaforme ad adottare misure per proteggere i minori, non impone solidi meccanismi di verifica dell’età né l’applicazione di restrizioni basate su questo criterio.
Ecco perché intanto la Commissione europea ha fatto sapere che il mese prossimo lancerà un’app per la verifica dell’età, assicurando che sarà possibile farlo senza rivelare dati personali.
I NUMERI DELL’USO (PROBLEMATICO) DEI SOCIAL MEDIA
A oggi, nonostante l’età minima per la creazione di un account sia 13 anni, anche chi ne ha meno riesce a farlo fornendo una data di nascita falsa. L’uso dei social network infatti, a partire dal 2010, è esploso. Secondo la Commissione europea, oltre l’80% dei giovani in Europa li utilizza quotidianamente e il tempo medio trascorso davanti agli schermi da parte dei bambini tra i 9 e i 15 anni è più che raddoppiato, arrivando a circa 3 ore al giorno.
Non solo. Per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ancora più preoccupante è il loro uso “problematico”. La percentuale di adolescenti a livello globale che rientra in questa definizione è passata dal 7% all’11% tra il 2018 e il 2022. I tassi più alti sono stati registrati in Romania (22%), Malta (18%) e Bulgaria (17%), mentre i Paesi Bassi vantano il livello più basso (5%). I tredicenni, e in particolare le ragazze, erano i più inclini a un loro uso problematico.
A questo si aggiunge il 12% dei giovani a rischio di “uso problematico dei videogiochi”, che l’Oms definisce come la presenza di cinque o più sintomi di dipendenza da gaming.
LA DIPENDENZA CREATA DAGLI ALGORITMI
I Paesi che promuovono l’iniziativa hanno chiarito che l’obiettivo non è “criminalizzare l’uso della tecnologia, né di proporre soluzioni inapplicabili a una sfida in continua evoluzione”, tuttavia, si dicono preoccupati “per il design algoritmico delle piattaforme digitali, che aumenta l’esposizione dei minori a contenuti dannosi e potenzialmente assuefacenti – con il rischio di peggiorare ansia, depressione e problemi di autostima”.
Solo per citare uno degli ultimi casi, qualche giorno fa, grazie alle pressioni del governo francese, TikTok ha bloccato l’hashtag #SkinnyTok, che promuoveva un’idea di magrezza pericolosa sulla piattaforma.
La proposta attribuisce infine l’eccessivo tempo trascorso davanti agli schermi in giovane età la responsabilità di ostacolare lo sviluppo delle capacità critiche e relazionali dei minori.