C’è un settore in cui il virus scopre il drammatico ritardo dell’Italia in innovazione: la scuola e l’università.
Il sistema della formazione rischia, semplicemente, di esplodere perché non dispone di quella fondamentale risorsa che è l’apprendimento e lo studio a distanza: la più straordinaria opportunità consentita dalla rivoluzione del 4.0. Che, però, nel nostro sistema formativo “pubblico” manca.
Manca non solo per un problema di risorse e per errate priorità nella spesa pubblica per istruzione. Manca, anche, per un difetto culturale e di mentalità: l’idea, diffusa tra accademici, insegnanti, funzionari, dirigenti scolastici e politici, che fare istruzione “a distanza”, rispetto al modello dell’istruzione “in presenza”, sia un modello formativo di serie B, una concessione lassista ad un sistema di studio “più facile” per gli studenti.
E’ un classico pregiudizio conservatore e passatista. Il virus lo sta liquefacendo come fa con il nostro sistema immunitario. Oggi lezioni, esami, lauree rischiano, semplicemente, di saltare perché le scuole e le università statali non dispongono di piattaforme informatiche per l’e-learning, le aule virtuali, la certificazione degli esami a distanza.
Ti fanno vedere in Tv che, col 5G, un chirurgo opera a distanza un paziente dalla terrazza di un teatro. Ma poi, nella realtà, scivoliamo sulla formazione a distanza. Che è solo l’abc dell’innovazione telematica. Ma c’è di più.
Il sistema formativo, in realtà, disporrebbe di piattaforme informatiche per la formazione a distanza. Almeno nelle fasce superiori e liberalizzate esistono le università telematiche private. Sono ormai 300.000 quelli che vi accedono. Ci si iscrive, certo spesso anche per avere una laurea più facilmente, ma molto più spesso per avere una laurea o un corso specialistico anche per chi, a causa del lavoro, non può disporre del tempo di presenza richiesto dal sistema formativo tradizionale pubblico.
Oggi tra università telematiche private e sistema di istruzione pubblica c’è solo guerra ideologica. Il pubblico, invece di competere offrendo anch’esso un sistema di istruzione a distanza, cerca di affossare l’offerta privata con misure burocratiche e illiberali.
Oggi occorrerebbe una svolta: se il pubblico non è ancora dotato di piattaforme per l’aula e gli esami a distanza, faccia ricorso a quella delle università telematiche. Si provi a collaborare, pragmaticamente, tra pubblico e privato nell’istruzione.
Invece di farsi una guerra ottocentesca che Covid 19 ha debellato come residuo di primitivismo.