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Cybercrime

Sarà cibernetica la reazione dell’Iran contro l’America? L’articolo di Rapetto

Incombe un pericolo cibernetico. La capacità operativa dell’Iran è nota ed è motivo di fondata preoccupazione da tempo. L'approfondimento di Umberto Rapetto

 

La colpa è solo del Capodanno, periodo in cui la corsa agli armamenti è questione domestica e non strategica.

Dopo aver visto la donna trafitta nel casertano da un proiettile vagante che la notte di San Silvestro l’ha raggiunta sul balcone di casa, Donald Trump (che ama fare le cose in grande) ha fatto centrare Qassem Suleimani con un missile Hellfire R9X.

Per dare uno schiaffo morale a chi ha scelto di festeggiare l’arrivo del 2020 mutilandosi una mano con un gigantesco petardo o facendo finire all’ospedale parenti e amici, mister Trump ha pensato bene di fare il gran botto mettendo a repentaglio la sicurezza dell’intero pianeta.

La tanto applaudita eliminazione del generale iraniano, equivalente alla storica “bomba di Maradona” della produzione pirotecnica partenopea, ha certo mortificato i più volenterosi dinamitardi del 31 dicembre ma probabilmente prospetta qualche controindicazione con cui dovranno fare i conti anche quelli che dal nuovo anno si aspettavano pace e serenità augurate al momento del fatidico brindisi.

Le ritorsioni alla spettacolare esecuzione del cervello militare iraniano sono destinate a non farsi attendere. Se l’operazione con il drone fosse un farmaco per curare gli equilibri in Medio Oriente, il “bugiardino” riporterebbe tra le avvertenze l’evidente rischio di atti terroristici come immediata reazione nel contesto in cui è avvenuta la “somministrazione”.

Se è logico immaginare possibili attacchi – kamikaze e non – a “interessi” americani ed occidentali, non si deve frenare lo sguardo al vicino orizzonte fatto di compound militari e infrastrutture petrolifere disponibili “in zona” o di aree monumentali, crocevia di trasporti e altri luoghi affollati negli Stati Uniti e in Europa.

Incombe un pericolo cibernetico, senza dubbio meno cruento ma non per questo meno efficace per “ricambiare” l’offesa subita. La capacità operativa dell’Iran è fin troppo nota a tutti ed è motivo di fondata preoccupazione da tempo.

Una aggressione telematica potrebbe paralizzare i servizi essenziali (energia, telecomunicazioni, trasporti, sanità e finanza) senza richiedere che qualcuno si immoli o sparga sangue.

A giugno scorso il Dipartimento per la Homeland Security aveva segnalato un certo fermento di hacker al servizio del governo di Teheran. Ad ottobre era arrivato l’allarme di Microsoft e a dicembre l’allerta della IBM X-Force aveva lasciato intendere l’estrema fragilità della situazione.

Nessun ordigno esplosivo o testata nucleare: i pirati informatici iraniani hanno confezionato temibilissimi malware, capaci di “intossicare” qualunque tipologia di sistema informatico. Esistono poi formazioni specializzate in grado di attuare blitz che potrebbero avere conseguenze catastrofiche: al gruppo hacker “Oilrig” (conosciuto anche come “APT 34” e noto per la diffusione di mefistofelici software maligni) si affiancano altre squadre come l’APT 33. Quest’ultima banda si è già dolorosamente distinta in assalti digitali a realtà americane i cui processi industriali sono totalmente informatizzati.

Il bersaglio di una offensiva hi-tech potrebbe non essere distante da noi.

Forse è il caso di non restare sul poggiolo a guardare lo spettacolo, ma non si creda di risolvere la questione chiudendo la finestra…

 

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