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Google Home

Sapete che nemmeno la legge può fermare Alexa di Amazon e Home di Google?

Ecco che fine ha fatto la norma votata dal Senato dell’Illinois che mirava ad evitare che qualunque soggetto privato (nella fattispecie Amazon con “Alexa”, Google con “Home”, Apple con “HomePod”…) possa liberamente “accendere” o abilitare il microfono del dispositivo. L'approfondimento di Umberto Rapetto, generale (ris.) della Guardia di Finanza, già comandante del GAT Nucleo Speciale Frodi Telematiche

 

I “nazisti dell’Illinois” all’inseguimento dei Blues Brothers non avrebbero mai fatto immaginare che quello Stato americano sarebbe stato il primo a cimentarsi nella futuristica sfida per la salvaguardia dei diritti civili e della riservatezza della vita dei singoli cittadini.

E’ proprio dal settentrione degli Usa che arriva un provvedimento che vieta ai produttori di dispositivi connessi ad Internet di raccogliere voci e suoni senza che l’utente sia debitamente informato e abbia fornito il suo consenso. Peccato che ogni sforzo legislativo sia stato mutilato dal fulmineo intervento di Amazon e Google che – con la loro influenza – hanno condizionato la revisione della norma limitandone in modo significativo (qualcuno etichetta più brutalmente la maniera) l’efficacia e la conseguente tutela degli utilizzatori di Alexa & C.

La legge è stata celermente messa in cantiere non appena si è avuta notizia che Amazon inviava copie dei file audio – frutto delle registrazioni effettuate dagli “assistenti vocali” – a propri dipendenti incaricati di verifiche sulle trascrizioni effettuate automaticamente dai sistemi informatici. La circostanza ha determinato la messa al bando di tutte le azioni che, compiute dai produttori di questi apparati, non fossero ricomprese in quelle esplicitamente rese note agli acquirenti e da questi regolarmente accettate.

Il Senato dell’Illinois aveva approvato una disciplina estremamente dettagliata che mirava ad evitare che qualunque soggetto privato (nella fattispecie Amazon con “Alexa”, Google con “Home”, Apple con “HomePod”…) possa liberamente “accendere” o abilitare il microfono del dispositivo. Tali attività sono ammesse soltanto nel caso in cui il titolare dell’account registrato, dopo aver preso visione di cosa può accadere con quell’apparato e “sottoscritto” le condizioni di un accordo contrattuale, abbia impostato la configurazione del proprio assistente vocale consentendo l’esecuzione di determinate attività da parte dell’azienda produttrice.

Il consenso dell’utente deve essere vincolato alla sua effettiva conoscenza che il microfono del dispositivo sarà attivato o abilitato (con il dettaglio di quale comando sia in grado di provvedere a tal fine). Il possessore dell’assistente vocale deve anche sapere quali categorie di suoni il microfono può rilevare, ascoltare, registrare ed inviare. Proprio a quest’ultimo proposito ci deve essere la massima trasparenza sui soggetti terzi cui le registrazioni audio vengono trasferite.

La disciplina della questione, nella versione originariamente prevista dal Senato, voleva garantire la totale protezione delle registrazioni e di ogni altra informazione “catturata” da queste tecnologie, così da evitare l’accesso indebito di soggetti non autorizzati, l’uso non consentito (e magari la modifica fraudolenta!), la diffusione illecita e ogni altra condotta lesiva.

La mancata conformità a dettagliati requisiti veniva classificata come “una pratica illegale rispetto il Consumer Fraud and Deceptive Business Practices Act” destinata a tradursi in multe fino a 50mila dollari per ogni singolo caso, al netto – naturalmente – del risarcimento dei danni determinati dalla violazione della riservatezza dei dati personali.

E’ pero scesa in campo la “Internet Association” che ha “convinto” i senatori a non considerare la legge sulle pratiche fraudolente ed ingannevoli in danno al consumatore. Un simile accostamento avrebbe determinato uno sgradevole infittirsi del contenzioso e avrebbe innescato possibili class action con micidiali conseguenze per tutte le imprese delle Illinois… Ça va sans dire…

I lobbisti hanno lamentato pure il rischio di nullità e inapplicabilità delle condizioni contenute nei contratti di servizio anche in caso di divulgazione accidentale delle registrazioni. Il termine “accidentale” mal si addice al contesto informatico, dove i programmi sono storicamente congegnati per eseguire routine di comandi ed escludere azioni impreviste o personalizzate…. ma forse ce lo dimentichiamo troppo spesso.

“Non è stata colpa mia” e il trasferimento della responsabilità su mille altri fattori (“le cavallette” in primis) del mitologico Jake “Joliet” Blues interpretato da John Belushi è il refrain preferito dai colossi delle tecnologie che in questo modo, ovviamente, rimangono impuniti e magari addirittura idolatrati dalle loro stesse vittime.

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