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Robot

Sapete che esiste il robot guardone?

La catena alberghiera HIS Group ha scelto di utilizzare “macchine” per accogliere e accudire la clientela. Ma i piccoli robot possono essere facilmente “hackerati”. L'articolo di Umberto Rapetto

Se siete affascinati dalle “tecnologie della pigrizia” che – come Alexa di Amazon o Google Home – vi consentono di accendere la luce o “mettere un disco” senza alzarvi per arrivare all’interruttore o all’impianto hi-fi, frenate l’entusiasmo se vi è cara la riservatezza della vostra vita.

A spiarvi, infatti, non ci sono soltanto i cosiddetti “assistenti vocali” a cui qualcuno si rivolge per ottenere cose o azioni cui potrebbe (anche salutarmente) provvedere da solo. Larga parte dei dispositivi che dovrebbero facilitare l’esistenza degli umani presentano controindicazioni cui molti non danno peso perché inebetiti dalla novità. Le raccomandazioni, per quanto largamente inascoltate, sono comunque d’obbligo.

Se – ad esempio – andate in Giappone, chiedete che sul comodino della vostra stanza d’albergo ci sia una banale abat-jour.

A chi si domanda “e che altro dovrebbe esserci?!?” è bene spiegare dell’esistenza dei cosiddetti “in-room robot”, elettrodomestici – si sarebbe detto un tempo – che sostituiscono il personale di servizio in camera e a cui l’ospite può rivolgersi per chiedere determinati servizi.

La catena alberghiera HIS Group ha scelto di utilizzare “macchine” per accogliere e accudire la clientela. L’Henn na Hotel si avvale di umanoidi o di cyber dinosauri per le operazioni di check-in e consente l’accesso alle stanze con il riconoscimento facciale che sostituisce tradizionali chiavi o badge elettronici.

Proprio in questi giorni un esperto di sicurezza informatica, Lance R. Vick, ha lanciato uno stuzzicante allarme. In quell’albergo i piccoli robot dislocati in prossimità dei letti possono essere facilmente “hackerati”.

Non si tratta della consueta operazione di pirateria mandata a segno attraverso Internet: per “dirottare” le funzioni del piccolo robot occorre agire fisicamente ma le operazioni sono estremamente semplici e soprattutto delegabili a chiunque (magari per fare le pulizie) abbia accesso alla stanza e sia facilmente corruttibile per prestarsi alla malefatta. L’intervento “propizio” può essere anche quello dell’ospite che lascia la stanza ma vuole “rimanerci” anche quando sarà occupata da altri…

In termini pratici è sufficiente piazzare sulla testa dei robot un piccolo ed economico sticker NFC. Si tratta di una etichetta adesiva, solitamente in materiale plastico, con un microchip integrato di vario tipo che è in grado di interagire a breve distanza (in un raggio di dieci centimetri) con apparati elettronici di vario tipo. Per intenderci NFC (acronimo di near-field communication) è la tecnologia che consente di stabilire il dialogo tra smartphone e POS e di effettuare i pagamenti con il telefonino.

L’appiccicare quel dannato NFC (opportunamente programmato) consente di installare istruzioni malevoli sul minuscolo robot tanto da acquisirne il controllo e da vedere e ascoltare chi è presente nella stanza, non lasciandosi sfuggire nessuno dei momenti della permanenza…

Il gruppo alberghiero si è affrettato a twittare le proprie scuse alla clientela, rappresentando l’imprevedibilità di un simile fastidioso rischio. Ma il problema resta e non è chiaro se anche gli altri nove hotel della medesima organizzazione adoperano soluzioni tecnologiche analoghe e di avvalgono dei medesimi dispositivi Tapia oggetto della querelle.

La situazione è comunque sufficientemente chiara. Una abat-jour, sul comodino, mi raccomando…

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