Amazon alla sbarra negli Usa, trascinata in giudizio dalla Federal Trade Commission statunitense nell’ambito di un processo antitrust. Le accuse sono serie: il colosso dell’e-commerce dalle molteplici diramazioni avrebbe avuto piena rappresentazione del fatto che milioni di utenti sottoscrivevano senza troppa consapevolezza l’abbonamento Prime (che permette pagando un canone fisso di avere consegne espresso ‘gratis’, la visione di film in streaming, ecc…), scegliendo di non intervenire per non compromettere i propri ricavi. Non solo: avrebbe reso anche piuttosto ostica la possibilità di recedere.
COSA DICONO ACCUSA E DIFESA
“Per Amazon nulla è più importante del numero di iscritti a Prime, indipendentemente dal fatto che vogliano esserlo o meno”, il plateale affondo dell’avvocato della Ftc Jonathan Cohen durante la dichiarazione di apertura ai giurati. “Più iscritti, più soldi” l’equazione che avrebbe fatto da stella polare nel modello dell’e-commerce, almeno secondo le accuse.
Di tutt’altro avviso l’avvocato di Amazon, Moez Kaba, che ha negato qualsiasi illecito da parte dell’azienda o dei suoi dirigenti, sostenendo che i termini di Prime fossero chiari e le modalità per recedere semplici. Non solo, secondo la difesa i requisiti previsti dalle norme americane a tutela dei consumatori sarebbero così confuse e poco chiare che le imprese si sentono “come nella fiaba di Riccioli d’Oro”, in cui bisogna trovare la formula perfetta.
LE PRESUNTE CONDOTTE ILLECITE DI AMAZON SECONDO LA FTC
Sotto la lente della Ftc il fatto che Amazon in passato avesse offerto prove gratuite sul proprio e-commerce, con messaggi come: “Consegna gratuita in giornata” che però avrebbero comportato in via automatica l’iscrizione a Prime, con conseguenti addebiti mensili.
Tutto ciò, dicono dalla Federal Trade Commission, per lungo tempo non sarebbe stato adeguatamente segnalato. Eppure il problema sarebbe stato noto all’interno dell’azienda, almeno secondo il materiale raccolto nelle indagini: tra il 2017 e il 2022, Amazon avrebbe testato modifiche per chiarire tali condizioni, ma i dirigenti le avrebbero puntualmente respinte per evitare un calo delle iscrizioni.
FACILISSIMO ISCRIVERSI, IMPOSSIBILE CANCELLARSI?
Le modifiche sono state infine adottate solo nel 2022, quando l’azienda era già sotto indagine da parte della Ftc, che ha poi intentato causa l’anno successivo. Non solo: l’accusa ha calcolato che la procedura per annullare l’iscrizione richiedesse fino a sette click per essere completata e tutto ciò confliggerebbe con quanto dichiarato da Amazon, ovvero che fossero sufficienti pochi passaggi. In merito, Reid Nelson, ex ricercatore Amazon sull’esperienza utente, chiamato a testimoniare per conto della Federal Trade Commission ha parlato di un iter “difficile da iniziare e difficile da completare”.
LE POSSIBILI MULTE MULTIMILIONARIE
Secondo la Ftc il fatto che per iscriversi bastasse un solo clic mentre la disdetta fosse scoraggiata da più schermate violerebbe il Restore Online Shoppers’ Confidence Act (meglio noto come Rosca). Se dichiarata colpevole la Big Tech potrebbe dover pagare multe multimilionarie oltre a sanzioni fino a 53mila euro per ogni violazione riscontrata. E rischiano di essere parecchie se fosse preso per vero ciò che un testimone chiamato dalla Ftc ha dichiarato, ovvero che Amazon attraverso le strategie delineate in giudizio avrebbe iscritto oltre 40 milioni di clienti a Prime senza il loro pieno consenso.
LE ALTRE BATTAGLIE DELLA FTC
Non è la prima causa relativa a modalità ritenute ingannevoli e lesive per l’utenza portata avanti dalla Ftc: ad aprile, infatti, l’autorità nordamericana ha citato in giudizio Uber colpevole a suo dire di aver addebitato abbonamenti Uber One apparentemente mai richiesti, mentre ad agosto ha portato in tribunale la catena di palestre LA Fitness che avrebbe – sempre secondo il teorema accusatorio della Federal Trade Commission – reso la cancellazione dal servizio un vero e proprio percorso a ostacoli per i propri iscritti.
ESISTE UNA INCOGNITA TRUMP?
L’indagine della Ftc sulle condotte di Amazon era iniziata durante il primo mandato del presidente Donald Trump ma la causa è stata depositata sotto la presidenza di Joe Biden. Resta da capire se adesso Trump, diventato un inquilino della Casa Bianca eccezionalmente ingombrante e sempre pronto a espandere la propria sfera d’influenza, si intrometterà in qualche modo nel processo.
Non sfugge che il proprietario di Amazon e del Washington Post oltre ad aver impedito alla propria testata di schierarsi in campagna elettorale a favore dell’esponente democratica Kamala Harris avesse donato un milione di dollari per la cerimonia di insediamento dell’attuale presidente. Molti analisti inoltre sottolineano che Amazon sia tra i player chiave nello sviluppo di un ecosistema americano dedicato all’Intelligenza artificiale che Trump vuole incoraggiare.