skip to Main Content

Privacy

Privacy, le questioni irrisolte tra Ue e Usa per il Garante italiano

Che cosa ha detto il presidente Pasquale Stanzione nel corso della relazione annuale 2020 dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali

 

L’attenzione riservata, tanto dalla Corte di giustizia quanto dal legislatore europeo ai requisiti di effettiva libertà e consapevolezza del consenso dimostra quanto l’autodeterminazione informativa sia determinante per un governo sostenibile della società (e dell’economia) delle piattaforme. Una più netta presa di coscienza del valore dei propri dati è, infatti, l’unico, effettivo baluardo contro il rischio della monetizzazione della privacy, che rappresenta oggi la vera questione democratica nel governo della rete.

Da un lato, infatti, la zero price economy ha reso prassi ordinaria lo schema negoziale ‘servizi contro dati’; dall’altro, riconoscere la possibilità della remunerazione del consenso rischia di determinare una rifeudalizzazione dei rapporti sociali, ammettendo che si possa pagare con i propri dati e, quindi, con la propria libertà. Su questo “pendio scivoloso” è in gioco, forse più che in ogni altro campo, l’identità europea come “Comunità di diritto”, fondata sulla sinergia tra libertà, dignità, eguaglianza, quali presidi essenziali che nessuna ragion di Stato o, tantomeno, di mercato può violare.

È significativo che l’Unione Europea abbia negli ultimi cinque anni (a partire, in particolare, dal nuovo quadro giuridico sulla privacy, sino al recente schema di regolamento sull’intelligenza artificiale) messo al centro della propria agenda politica la regolazione del digitale, consapevole che l’anomia cui altrimenti sarebbe consegnata la rete non esprime libertà, ma soggezione alla lex mercatoria, tanto quanto alla lex informatica. Se “code is law” è perché il digitale esprime un nuovo paradigma di senso, un nuovo ordine antropologico e simbolico che va coniugato con il sistema, anzitutto di valori, proprio del rule of law cui s’ispira la costruzione europea. E proprio sul governo antropocentrico del digitale l’Unione europea sta promuovendo – adesso anche con lo schema di regolamento citato – uno sviluppo sostenibile dell’innovazione, che la renda funzionale al progresso sociale.

Questa vocazione personalista contraddistingue, certamente, le politiche dell’innovazione europee dall’“imperialismo digitale” cinese, con la sua pericolosa alleanza tra potenza di calcolo e potere coercitivo, di cui il social credit system e il riconoscimento facciale (persino “emotivo”) sono un esempio emblematico. Ma la “differenza” europea connota, ancora una volta sul terreno della privacy, anche il rapporto con gli Stati Uniti, sia per l’approccio liberistico all’innovazione, sia per il rapporto tra garanzie individuali e sicurezza nazionale.

Con la sentenza Schrems II del luglio 2020, infatti, la Corte di giustizia europea ha invalidato anche il Privacy Shield e la conseguente decisione di adeguatezza dell’ordinamento americano in ragione della carenza, per i dati lì trasferiti, di garanzie sostanzialmente equivalenti a quelle sancite dalla disciplina dell’Unione. Importante anche che la Corte abbia subordinato la validità, ai fini del trasferimento dei dati all’estero, di strumenti privatistici (pur eteroregolati), quali le clausole contrattuali standard, a un sistema di rimedi effettivi nell’ordinamento di destinazione. Ciò dimostra come la privacy necessiti di una tutela “oggettiva”, che non si esaurisce nella fase negoziale rimessa alla sola disponibilità delle parti, ma esige tutele pubblicistiche effettive.

La privacy, come è stato detto, appare paradossalmente sempre meno una mera questione “privata” e, sempre più, un tema di rilievo pubblico centrale, su cui si misura, anche in termini geopolitici, la tenuta dello Stato di diritto.

(estratto dal discorso del presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali; qui il testo integrale)

Back To Top