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Perché non è l’AI ma la lettera di Musk & Co che deve farci paura

"La paura ha creato gli dèi". Se Tito Lucrezio Caro fosse vissuto al giorno d'oggi, forse avrebbe scritto la stessa frase a proposito dell'intelligenza artificiale. Il commento di Paola Liberace

 

“La paura ha creato gli dèi”. Se Tito Lucrezio Caro fosse vissuto al giorno d’oggi, forse avrebbe scritto la stessa frase a proposito dell’intelligenza artificiale. La paura che ci coglie di fronte al confronto con sistemi così complessi è forse paragonabile solo a quella ritratta dal poeta latino, che ha colto i primi uomini di fronte alla forza sconvolgente dei fenomeni naturali. Con una fondamentale differenza: mentre i fenomeni naturali non sono originati dall’uomo, le cosiddette “intelligenze artificiali” lo sono in tutto e per tutto. E per dirlo non serve essere esperti di tecnologia, programmatori, ingegneri informatici, guru del digitale o pionieri del web (semmai, questo dato vale a ingigantire la responsabilità di chi, conoscendo il tema e la sua delicatezza, sceglie di affrontarlo con proclami pseudoprofetici a uso di titolo giornalistico).

A conferire eventuale attendibilità agli allarmi sull’AI non è il fatto che a lanciarlo siano persone che rientrano nelle suddette categorie, o simili: è solo la solidità intrinseca dei suddetti allarmi. Una solidità che – parafrasando il motto di un vecchio insegnante di filosofia teoretica – non è metafisica; non è morale; è logica. Logica, come la distinzione elementare tra soggetto e oggetto: una volta compreso che parliamo del secondo, diventa più facile comprendere perché non ha senso attribuirgli le proprietà del primo.

Se è di oggetti che parliamo, e non di “menti non umane (sic!)”, non ha senso temere che possano “outnumber, outsmart, obsolete and replace us”. Se è di oggetti che parliamo, è evidente che la disinformazione non origina da essi, ma dalla pervicacia o dall’ignoranza dei soggetti. Se è di oggetti che parliamo, per quanto potenti, è chiaro che ad essere pericolosi non sono loro, ma l’uso che ne fanno i soggetti – sempre ammesso che sia stato loro chiarito che hanno a che fare con oggetti da utilizzare, e in che modo farlo. Se tutto questo è vero, non sono gli oggetti, ma i soggetti che dovremmo temere: e quindi non serve meno tecnologia, ma più competenza – la stessa che ha svelato, nel corso dei secoli, la vera natura dei fulmini trasformati in dèi dal timore dei primi uomini. Con l’aggravante che in questo caso la natura è già nota, soprattutto a coloro che si sono lanciati negli accorati appelli per sospendere anche solo temporaneamente, gli sviluppi.

Se tutto questo è vero, insomma, il problema non è il vitello d’oro, ma chi lo ha scolpito e ne ha fatto un idolo, additandolo come dio da riverire al timore collettivo. E ogni dio, si sa, ha i suoi sacerdoti, gli unici intitolati a intermediarne il rapporto con i fedeli. Incentivare la paura – invece di assumersi la responsabilità di affinare il pensiero, diffondere la conoscenza e curare la formazione – è un ottimo modo per mantenere questa esclusiva. Senza adeguate categorie per definire le entità e le loro attribuzioni, non potremo che restare folgorati dai fulmini che si susseguono in un cielo tanto meraviglioso quanto oscuro, credendo a chi ci assicura che siano dèi e ci si propone come sacerdote per placarne l’ira. Né vietare, né sospendere, né condannare: l’unica alternativa possibile ad avere paura è imparare a pensare.

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