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Cina Apple

Perché l’iPhone 11 turba Apple: violata la legge sul lavoro in Cina

Per produrre gli ultimi iPhone 11, Apple e il fornitore Foxconn hanno assunto troppi lavoratori temporanei nelle fabbriche cinesi. Una violazione delle leggi di Pechino sul lavoro

Non ha fatto ancora il suo ingresso nel mondo e già provoca danni al “papà”. Stiamo parlando dell’iPhone 11, che Apple presenterà domani nel corso di un evento speciale organizzato presso l’Apple Park. Due giorni prima del lancio infatti, China Labor Watch, un’organizzazione senza scopo di lucro con sede a New York City che indaga le condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi, ha pubblicato un rapporto dal titolo incontrovertibile “iPhone 11 illegally produced in China”. Secondo il rapporto Apple e il partner manifatturiero Foxconn hanno violato la legge sul lavoro cinese nello stabilimento di Zhengzhou, la più grande fabbrica di iPhone del mondo, impiegando troppi lavoratori temporanei. Ecco i dettagli.

IL RAPPORTO DI CHINA LABOR WATCH

Nel rapporto divulgato da China Labora Watch si afferma che circa il 50% della forza lavoro impiegata ad agosto presso la fabbrica di Zhengzhou era costituita da assunzioni temporanee. Questa pratica è in netta violazione della normativa cinese sul lavoro, in base alla quale i lavoratori temporanei non possono superare il 10% del totale dei lavoratori occupati.

I DIRITTI DEI LAVORATORI CINESI

In Cina le aziende impiegano spesso lavoratori temporanei nelle fabbriche per mantenere alta la produttività durante i picchi stagionali di domanda del prodotto. Come sottolinea China Labor Watch, questi lavoratori non hanno diritto all’assicurazione sociale. In cambio dovrebbero ricevere maxi bonus, ma il più delle volte non vengono elargiti alla fine del rapporto di lavoro.

L’AMMISSIONE DI CUPERTINO

Apple ha ammesso a Bloomberg che “la percentuale di impiegati temporanei ha superato i nostri standard”, aggiungendo che “sta lavorando a stretto contatto con Foxconn per risolvere questo problema”.

Tuttavia, il colosso guidato da Tim Cook ha respinto le altre critiche sollevate nel rapporto riguardo la condizione dei lavoratori cinesi nella fabbrica di Zhengzhou. “Abbiamo esaminato le affermazioni di China Labor Watch e la maggior parte delle accuse sono false. Tutti i lavoratori ricevono uno stipendio adeguato, compresi eventuali bonus”. Inoltre Apple ci tiene a precisare che “tutto il lavoro straordinario è stato volontario e non sussistono prove di lavoro forzato”.

TUTTE LE CRITICHE CINESI AD APPLE

Negli anni la compagnia di Cupertino è stata infatti più volte criticata per le pratiche di lavoro nella sua vasta catena di approvvigionamento in Cina. Alla fine dell’anno scorso ha avviato un’indagine dopo che Sacom, un’associazione per la tutela dei diritti umani, ha affermato che un suo fornitore stava impiegando illegalmente studenti per assemblare Apple Watch nella città cinese di Chongqing.

Apple è corsa dunque ai ripari. Negli ultimi tempi il colosso della Silicon Valley ha spinto i partner di produzione a migliorare le condizioni di lavoro nella fabbriche all’estero.

LE PRATICHE DI FOXCONN

Tuttavia, i fornitori e gli assemblatori degli iPhone cercano sempre di sfornare più prodotti possibile per soddisfare le richieste del mercato. Come riporta Bloomberg,  ogni anno Foxconn, ufficialmente noto come Hon Hai Precision Industry Co, assume decine di migliaia di lavoratori temporanei per aumentare la produzione e soddisfare la domanda di iPhone durante le festività natalizie. Inoltre secondo il rapporto di China Labor Watch, oltre la metà dei 150.000 lavoratori dello stabilimento sono lavoratori temporanei i cui contratti non sono stipulati nemmeno con Foxconn bensì con agenzie locali. Si tratta di cinque volte il numero di lavoratori temporanei ammessi in un’azienda ai sensi del diritto del lavoro cinese.

ULTERIORE SPINTA ALL’ADDIO ALLA CINA?

Che la Cina non sia più terreno fertile per i prodotti della Mela morsicata? Da quando la guerra commerciale tra Washington e Pechino si è fatta sempre più infuocata, Cupertino ha iniziato a valutare diverse opzioni per scampare ai colpi di dazi. A luglio il quotidiano Nikkei Asian review ha rivelato che Apple avrebbe avviato la sperimentazione della produzione di AirPods in Vietnam come parte di una strategia per diversificare la supply chain dei suoi prodotti oltre la Cina. A contribuire a questo cambiamento non solo il possibile inasprimento dei dazi commerciali ma anche, e soprattutto, i costi di produzione in continuo aumento nella terra del Dragone. D’altronde, come ricordava Andrea Mainardi su Startmag oltre il 90% dei prodotti Apple è fabbricato in Cina.

Riguardo la minaccia di ulteriori dazi, Apple potrebbe tirare un momentaneo sospiro di sollievo. Il ceo Tim Cook sembra avere convinto Donald Trump sulle ricadute negative dei dazi contro la Cina. Nel corso di una cena intrattenuta ad agosto Cook ha spiegato che i dazi metterebbero la rivale sudcoreana Samsung in una posizione di vantaggio visto che non sarebbe sottoposta alle stesse restrizioni di Apple. Ma il rapporto di ieri potrebbe provocare grane al colosso di Cupertino tanto da mettere ancora in discussione la catena di approvvigionamento made in China.

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