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Perché l’azienda di tecnologia pubblicitaria PubMatic cita in giudizio Google

Dopo la serie di sanzioni della scorsa settimana – tra cui la maxi-multa da 2,95 miliardi inflitta dall’Ue – Alphabet, la casa madre di Google, finisce di nuovo sotto accusa: la piattaforma di scambio pubblicitario PubMatic ha avviato una causa chiedendo miliardi di dollari di risarcimento. Tutti i dettagli.

Se il venerdì è stato nero per Google con la maxi multa da quasi 3 miliardi di euro inflitta da Bruxelles, il successivo lunedì non è iniziato nel migliore dei modi.

Ieri l’azienda di tecnologia pubblicitaria californiana PubMatic ha intentato una causa in Virginia contro Alphabet (società madre di Google) chiedendo miliardi di dollari di danni. PubMatic accusa il gigante della ricerca di monopolizzare illegalmente i mercati degli ad exchange e degli ad server. Il caso segue un’altra causa intentata da una piattaforma di scambio pubblicitario dopo lo scorso aprile un giudice dello stesso tribunale ha stabilito che Google aveva monopolizzato illegalmente due mercati tecnologici chiave: gli exchange pubblicitari e gli strumenti utilizzati dai siti web per vendere spazi pubblicitari, noti come ad server, segnala Bloomberg.

Da parte sua il colosso tech di Mountain View ha affermato che la causa è “infondata” e che inserzionisti e siti web scelgono gli strumenti dell’azienda perché sono “efficaci, convenienti e facili da usare”.

Tutti i dettagli.

NUOVA CAUSA PER GOOGLE

Quindi PubMatic ha fatto causa a Google per miliardi di dollari accusando Google di monopolio illegale del mercato delle tecnologie pubblicitarie.

Un giudice in Virginia, che in aprile si era già pronunciato a favore del Dipartimento di Giustizia e di alcuni stati, ha fissato un nuovo processo per questo mese, rileva ancora Bloomberg. L’obiettivo è decidere se Google debba vendere una parte delle sue attività pubblicitarie per rimediare a una condotta illegale.

Venerdì, il Dipartimento di Giustizia ha chiesto che a Google venga ordinato di vendere immediatamente la sua piattaforma di scambio di annunci, AdX, e di rendere la sua tecnologia compatibile con quella dei concorrenti.

Google, dal canto suo, sostiene che la vendita non sia necessaria. L’azienda propone invece di garantire l’interoperabilità del proprio sistema di scambio con le tecnologie dei concorrenti e di installare un sistema di monitoraggio per assicurare il rispetto degli accordi per i prossimi tre anni.

LE ACCUSE DI PUBMATIC

Ripreso dall’agenzia americana, il ceo di PubMatic, Rajeev Goel, ha affermato che la precedente sentenza secondo cui Google ha mantenuto illegalmente monopoli nella tecnologia pubblicitaria è “significativa ma incompleta”. La causa dell’azienda non riguarda solo questioni finanziarie, ma anche la garanzia del funzionamento dei mercati pubblicitari online, ha precisato.

“Per molti anni ci è sembrato che, indipendentemente da quanto fossimo bravi ad innovare, ci fosse sempre un ostacolo a frenarci”, ha detto Goel in un’intervista a Bloomberg. “Quell’ostacolo non erano i limiti della nostra tecnologia. Era il monopolio illegale di Google. Ogni volta che ci adattavamo o innovavamo, Google trovava nuovi modi per truccare le carte”.

Come ricostruisce Bloomberg, PubMatic aiuta i siti web, tra cui X di Elon Musk, a vendere spazi pubblicitari. Google aveva preso in considerazione l’acquisto dell’azienda nel 2011, secondo documenti e testimonianze del processo antitrust dello scorso anno, ma alla fine ha acquistato invece il fornitore di tecnologia pubblicitaria AdMeld. Proprio questa serie di acquisizioni – DoubleClick (2008), AdMob (2009), Invite Media (2010) e  AdMeld (2011) appunto – avrebbe costruito un sistema che costringe gli inserzionisti a pagare cifre più alte di quelle che un mercato concorrenziale potrebbe garantire, secondo l’accusa formulata dal Dipartimento di Giustizia nel gennaio 2023 contro Google.

ALTRE GRANE LEGALI PER BIG G

Nel frattempo, sempre Bloomberg ricorda che il mese scorso, OpenX Technologies, un altro exchange di annunci, ha citato in giudizio Google presso lo stesso tribunale della Virginia.

Il gigante tech deve affrontare anche un’altra causa, intentata da un gruppo di stati guidato dal Texas. L’azienda è inoltre al centro di una serie di azioni legali da parte di editori di siti web e inserzionisti, che chiedono un risarcimento danni per le stesse pratiche.Queste cause, avviate da editori e inserzionisti, sono attualmente in corso a New York. Google ha cercato di far trasferire anche il caso OpenX in quella giurisdizione, ma il giudice non ha ancora emesso una decisione sulla richiesta.

DOPO LE MULTE COLLEZIONATE LA SCORSA SETTIMANA

Infine, le cause legali si aggiungono alla crescente pressione globale sul business pubblicitario di Google.

La sanzione multimiliardaria inflitta dall’Ue la scorsa settimana – l’antitrust europeo ha comminato a Google una multa da 2,95 miliardi di dollari per abuso di posizione dominante nella vendita di spazi pubblicitari online – e la ricerca di rimedi strutturali da parte di Washington posizionano il colosso tecnologico sotto la lente dei regolatori della concorrenza da ogni sponda dell’Atlantico.

Non solo. Oltre ai rilievi antitrust sul suo business pubblicitario, sempre la scorsa settimana l’azienda ha ricevuto multe in ambito privacy. Il 3 settembre l’Autorità francese per la protezione dei dati (Cnil) ha colpito duramente con una sanzione senza precedenti contro il gigante della ricerca. L’authority ha comminato una multa record di 325 milioni di euro a Google accusando il gigante di pubblicità non consensuale su Gmail. Non solo. Sempre il 3 settembre una giuria di un tribunale federale di San Francisco ha stabilito che Google deve pagare 425 milioni di dollari per aver violato la privacy degli utenti continuando a raccogliere dati per milioni di utenti che avevano disattivato una funzione di tracciamento nel proprio account Google.

Con questa serie di cause e sanzioni, Google si trova a fronteggiare una pressione regolatoria senza precedenti, sia nel Vecchio Continente sia a casa propria.

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