Luce verde al Dl Omnibus da parte del Senato e, dunque, anche a due emendamenti – a firma Forza Italia-Fratelli d’Italia – che puntano a inasprire le misure contro la pirateria online. Per Google, però, si tratta di una norma che creerà solo più confusione e non aiuterà a risolvere il problema.
UN AMPLIAMENTO DEL PIRACY SHIELD
Ieri le commissioni Bilancio e Finanze del Senato hanno dato il via libera a due emendamenti, a firma dei senatori Dario Damiani (FI), Guido Quintino Liris e Antonella Zedda (FdI), per contrastare la pirateria online, un reato per cui nel 2022 si sono registrati 30 milioni di episodi in ambito audiovisivo in più rispetto all’anno precedente.
Le novità, se approvate anche dalla Camera, prevedono un ampliamento dei confini di Piracy Shield, la piattaforma donata dalla Lega calcio Serie A all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ed entrata in funzione lo scorso febbraio che consente di oscurare in automatico entro 30 minuti i siti che trasmettono illegalmente contenuti in streaming.
COSA PREVEDE IL DL OMNIBUS SULLA PIRATERIA
Al momento sono gli Internet service provider, cioè coloro che forniscono le connessioni che utilizziamo quotidianamente, a ricevere un avviso da chi detiene i diritti di un evento e oscurare il sito pirata. Tuttavia, i due emendamenti del decreto Omnibus prevedono alcune novità. Come spiega CorCom, “Il primo prevede che nel perimetro dei soggetti interessati dalla eventuale sospensione dell’Agcom vengono ricompresi, oltre ai prestatori di servizi di accesso alla rete, i ‘fornitori di servizi di Vpn e quelli di Dns pubblicamente disponibili ovunque residenti e ovunque localizzati'”.
Il secondo, invece, “prevede che ‘i prestatori di servizi di accesso alla rete, i soggetti gestori di motori di ricerca e i fornitori di servizi della società dell’informazione, ivi inclusi i fornitori e gli intermediari di vpn (virtual private network) o comunque di soluzioni tecniche che ostacolano l’identificazione dell’indirizzo IP di origine, gli operatori di content delivery network, i fornitori di servizi di sicurezza internet e di Dns distribuiti, che si pongono tra i visitatori di un sito, e gli hosting provider che agiscono come reverse proxy server per siti web’ debbano segnalare ‘immediatamente’ all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria le condotte penalmente rilevanti di cui siano venuti a conoscenza e un ‘punto di contatto’ per le comunicazioni”. L’omissione della segnalazione e della comunicazione, afferma il decreto, sono “puniti con la reclusione fino ad un anno”. Si applica inoltre l’articolo sui ‘delitti informatici e trattamento illecito di dati’ che prevede sanzioni.
PERCHÉ GOOGLE PROTESTA
Le modifiche però, a un colosso come Google, appaiono impossibili da realizzare nella pratica, oltre che dannose per lo svolgimento del lavoro dell’autorità giudiziaria. Diego Ciulli, Head of Government Affairs and Public Policy di Google Italia, ha infatti scritto sul suo profilo LinkedIn: “Sotto l’etichetta di ‘contrasto alla pirateria’, ieri il Senato ha approvato una norma che obbliga le piattaforme digitali a comunicare all’autorità giudiziaria tutte le violazioni di diritto d’autore – presenti, passate e future – di cui vengano a conoscenza. Lo sapete quante sono nel caso di Google? Al momento, 9.756.931.770. Insomma, il Senato ci chiede di inondare l’autorità giudiziaria di quasi 10 miliardi di URL – e prevede il carcere se manchiamo una sola notifica. Se la norma non viene corretta, il rischio è di fare il contrario dello spirito della legge: ingolfare l’autorità giudiziaria, e togliere risorse alla lotta alla pirateria”.
Tra le novità più rilevanti c’è infatti la misura che prevede fino a un anno di reclusione in carcere. Questa interessa i prestatori di servizi di accesso alla rete; chi gestisce motori di ricerca; i fornitori di servizi della società dell’informazione, compresi i fornitori e gli intermediari di Vpn o comunque di soluzioni tecniche che ostacolano l’identificazione dell’indirizzo IP di origine, che non denunciano l’attività illecita compiuta attraverso i propri sistemi, pur essendone a conoscenza. Inoltre, “gli operatori di content delivery network, i fornitori di servizi di sicurezza internet e di Dns distribuiti, che si pongono tra i visitatori di un sito, e gli hosting provider che agiscono come reverse proxy server per siti web sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate condotte penalmente rilevanti (…) devono segnalare, senza ritardo, all’autorità giudiziaria o alla Guardia di finanza tali circostanze, fornendo tutte le informazioni disponibili”.
Inoltre, chi fornisce questi servizi in Italia ma ha sede legale all’estero, ha l’obbligo di comunicare all’Agcom il proprio rappresentante legale in Italia.
ANCHE ASSTEL E AIIP DICONO NO
In disaccordo sulla responsabilizzazione a livello penale delle telco si è pronunciata anche Asstel, l’associazione di Confindustria che rappresenta la filiera delle telecomunicazioni: “Riteniamo che l’approccio di ‘sistema’ e collaborativo attuato fino ad oggi, che ha consentito di dotare l’Italia di un importante strumento di legalità nell’ambiente online [il Privacy Shield, ndr], non debba essere ostacolato dall’attribuzione agli Operatori di responsabilità di natura penale che non sono coerenti con la natura di fornitori di servizi di accesso alla rete e con i principi generali dell’ordinamento delle comunicazioni stabiliti a livello Comunitario”.
Si uniscono in modo compatto contro gli emendamenti pure tutti gli operatori italiani. Per il presidente dell’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP), Giovanni Zorzoni, “potrà accadere, molto più frequentemente, che vengano bloccati anche indirizzi leciti che sono impiegati solo in via accidentale per la trasmissione di contenuti pirata”. E poi, facendo eco a quanto sostenuto da Ciulli, “questo è un fatto grave, anche nei confronti dell’Agcom, che si troverà a dover gestire possibilmente una massa infinita di ricorsi rispetto ad altrettante segnalazioni che corrisponderanno a falsi positivi”.