Nelle stesse ore in cui in Italia emergeva il lucro sommerso di alcune delle più promettenti star e starlette di TikTok, negli Usa il social cinese – utilizzato quotidianamente da circa 170 milioni di americani – tornava al centro del dibattito politico, non per regolamentare i guadagni di content creator e influencer ma per via del solito tema della sicurezza nazionale.
DA HUAWEI A TIKTOK, GLI USA DIFFIDANO DELLA TECNOLOGIA CINESE
Il filone, per capirci, è quello tracciato dall’amministrazione di Donald Trump che ha portato al ben noto ban di Huawei. Ma tutto è reso più complicato dalla campagna elettorale per le presidenziali 2024 e infatti ora abbiamo Joe Biden che va all’assalto di ByteDance – la software house cinese proprietaria di TikTok – per costringerla a vendere la piattaforma e Trump che, con una piroetta degna dei balli scatenati che hanno reso celebre il social tra i giovanissimi, si sposta sul fronte opposto per difenderlo.
NESSUNO O QUASI IN OCCIDENTE SI FIDA DI TIKTOK
TikTok in realtà negli anni non è stato attenzionato solo dagli Usa, ma posto sotto la lente di ingrandimento di svariate democrazie Occidentali, tra cui l’Ue che ha chiesto per sicurezza ai propri dipendenti amministrativi di non installare l’app sui device di lavoro e di non portare in zone sensibili cellulari e tablet privati che abbiano dentro TikTok, per il rischio evidente che il social inoculi programmi spia. Inoltre, soltanto poche settimane fa la Commissione europea ha aperto un’indagine su TikTok per sospetta violazione degli obblighi di protezione dei minori: se accertata l’app di video rischierebbe una multa pari fino al 6% del fatturato globale.
RISCHIO REALE O PROTEZIONISMO?
Tornando al Congresso americano, non è dato sapere se dietro a simili mosse ci sia un pericolo concreto o si nasconda semplicemente l’ennesima mossa protezionistica degli Usa, sulla falsariga dell’Ira di Joe Biden, ovvero quel pacchetto che ha costretto chi vuole esportare un prodotto negli Usa a impiantarvi la propria filiera di valore.
Non bisogna dimenticare che lo stesso Biden ha già iniziato a lanciare allarmi analoghi in campo automobilistico proprio nell’anno in cui le prime auto elettriche cinesi sbarcheranno massicciamente negli Usa. E l’industria americana, è noto, non è in grado di competere ad armi pari con quella di Pechino, che si è mossa con lungimiranza anni fa.
GLI USA VOGLIONO CHE BYTEDANCE SMETTA DI BALLARE SU TIKTOK
Giovedì 7 marzo la Commissione per l’energia e il commercio della Camera ha approvato all’unanimità una misura per vietare l’accesso di TikTok agli app store statunitensi, questo a meno che la piattaforma di social media non venga scorporata dalla società madre ByteDance, legata alla Cina. Un ultimatum in piena regola, dunque.
Il portavoce della Camera dei Rappresentanti, il repubblicano Mike Johnson, ha mostrato il suo sostegno al disegno di legge, preannunciando che verrà presto messo ai voti in modo completo alla Camera. Tutto ciò nell’anno in cui gli americani vanno al voto e ByteDance vuole fare shopping in America, ovvero intende aprire uno store online in grado di rivaleggiare con la statunitense Amazon.
BIDEN E TRUMP LITIGANO ANCHE SU TIKTOK
In merito l’attuale inquilino della Casa Bianca s’è limitato a dire che “se la legge passa, la firmerò”. Di tutt’altro avviso invece il suo predecessore (ma anche possibile successore), ovvero colui che aveva dato origine alla guerra commerciale a colpi di ban tra Washington e Pechino: Donald Trump.
Il Tycoon ha affrontato l’argomento dalla sua piattaforma, Truth Social, sostenendo che da simili mosse ne beneficerebbe esclusivamente la piattaforma rivale Facebook. E tra Trump e Mark Zuckerberg, è noto, i rapporti non sono idilliaci fin dai tempi in cui il solo a essere bandito fu l’ex presidente, dai social Meta (maggiore sinergia pare esserci invece tra Trump ed Elon Musk, proprietario di X, nonostante il candidato repubblicano non ami certo le auto elettriche).
I democratici dal canto loro hanno subito ricordato all’avversario che, sul finire del proprio mandato, aveva intrapreso azioni legislative al fine di bandire TikTok e WeChat (la app più diffusa in Cina, utile per qualsiasi tipo di servizio anche di tipo amministrativo) dal territorio statunitense.
L’INTENZIONE DEGLI USA DI AVVANTAGGIARE SOFTWARE USE AMERICANE
Al netto della veridicità degli allarmismi statunitensi la legge, se approvata, favorirebbe naturalmente una o più software americane laddove ByteDance decidesse di vendere le chiavi della sua fortunatissima piattaforma.
Negli ultimi anni la platea social è invecchiata assai più velocemente di quella, per così dire, terrestre. Mentre Facebook sta perdendo i più giovani, globalmente la app di ByteDance ha 1 miliardo di utenti che aprono la piattaforma 19 volte al giorno e, dato particolarmente ghiotto agli inserzionisti, sono particolarmente attivi nel pubblicare o commentare contenuti altrui.
Secondo la classifica annuale di Brand Finance “Global 500“ nel primo trimestre 2023 TikTok valeva ormai l’11% più di Facebook e il 65% più di Instagram, essendo valutata 65,7 miliardi di dollari, contro i 58,8 miliardi di Fb (un valore quasi dimezzato rispetto all’anno scorso) e i 33,48 miliardi di Instagram. Nel 2020 TikTok valeva ‘appena’ 1 miliardo.
SIAMO SICURI CHE I BAN AMERICANI FUNZIONINO?
Mentre i due sfidanti alla Casa Bianca litigano su chi e come bandire dal suolo americano, al netto di polemiche propagandistiche ci sono alcuni dati economici che sarebbe meglio evidenziare. Sono quelli di Huawei, il marchio cinese su cui si scatenò l’ira di Donald Trump.
Secondo la società di ricerca Counterpoint, mentre in Cina le vendite di iPhone sono diminuite del 24% rispetto all’anno precedente nelle prime sei settimane del 2024, Huawei ha registrato un aumento delle vendite unitarie del 64% nello stesso periodo.
Cacciata dagli Usa, Huawei intende così stringere la propria morsa commerciale attorno al Vecchio continente con un piano di investimento da 200 milioni di euro e uno stabilimento a Brumath, nei pressi di Strasburgo, che verrà inaugurato nel 2025. La scelta non è affatto casuale: da un lato testimonia un rinnovato sodalizio tra Francia e Cina, dall’altra la volontà del produttore asiatico di essere a pochi chilometri dal legislatore comunitario.