Consumatori sul piede di guerra in Cina, dove è stata depositata una denuncia presso l’ente nazionale che vigila sulla concorrenza, la State Administration for Market Regulation, nei confronti di Apple: la Big Tech americana viene accusata di abuso di posizione dominante per aver limitato la distribuzione delle app e i sistemi di pagamento alle proprie piattaforme. Inoltre non va giù il fatto che continui a imporre commissioni ritenute non dovute ed eccessive.
APPLE HA IN CINA I MEDESIMI PROBLEMI CHE HA IN EUROPA?
Accuse ricorrenti, mosse a più riprese e su innumerevoli fronti pure dalla Commissione europea che, è noto, vigila sul rispetto delle norme comunitarie all’interno del mercato dei 27 e da qualche anno anche sui “mercati digitali”.
Lo scorso aprile l’Antitrust comunitario ha elevato nei riguardi di Cupertino una pesante sanzione da mezzo miliardo di euro. Ma nel Vecchio continente la querelle sembra ben lungi dall’essersi esaurita.
Qualche mese fa, per esempio, Apple aveva presentato un altro ricorso contro le disposizioni del Digital Markets Act impugnando l’obbligo di rendere interoperabili alcune funzionalità dei suoi dispositivi. Il casus belli era stata la richiesta della Commissione europea di aprire funzioni come AirDrop e l’accoppiamento automatico con gli AirPods anche a dispositivi di terze parti. La chiusura della Big Tech statunitense costituirebbe un comportamento anti-concorrenziale.
I RECLAMI DEI CONSUMATORI CINESI CONTRO APPLE
Ora l’Europa potrebbe aver fatto scuola in Cina. Nel reclamo nel Paese del Dragone vengono contestate tre presunte violazioni della legge antimonopolio: l’obbligo di acquistare beni digitali tramite il sistema In-App Purchase, il divieto di scaricare app iOS al di fuori dell’App Store e commissioni fino al 30% sugli acquisti in-app.
Ai consumatori cinesi non deve essere sfuggito che in Europa Apple è stata piegata ad aprire il proprio store digitale ad altri sistemi di pagamento alternativi all’App Store, consentendo agli sviluppatori che sfruttano il suo negozio a stregua di vetrina virtuale l’inserimento di un link che porti i consumatori fuori dalla app di Apple.
IL PESO DELLA GEOPOLITICA
La discussione con le autorità europee è ancora in corso, ma è evidente che adesso i consumatori – e gli sviluppatori – cinesi esigano un pari trattamento.
Non sfugge che questa azione arrivi in un momento particolarmente delicato nei rapporti non solo tra Washington e Pechino, ma anche tra Apple e la Cina con Cupertino che, per non incorrere nelle ire del presidente americano Donald Trump, sta velocemente ridisegnando la propria filiera asiatica trasferendo la produzione dalla Cina all’India e al Vietnam.
E la Cina nell’ultimo periodo ha provato in ogni modo a bloccare simili fughe che rischiano di portare ai Paesi confinanti il know-how maturato in questi ultimi anni, anche ostacolando fisicamente alle frontiere e alle dogane il trasferimento di macchinari hi-tech e di personale specializzato.
SFERZATE PURE NVIDIA E QUALCOMM
Inoltre, non sfugge agli osservatori che le frizioni sul piano commerciale tra Washington e Pechino hanno portato nell’ultimo periodo a un florilegio di indagini antitrust ai danni di società americane: lo scorso 10 ottobre le autorità hanno reso noto che la statunitense Qualcomm, attiva nel settore strategico dei chip, è sospettata di aver violato la legge Antitrust del Paese in merito all’acquisizione dell’azienda israeliana Autotalks.
A settembre, l’Amministrazione statale cinese per la regolamentazione del mercato aveva affermato che un altro colosso americano dei micro-chip, ovvero Nvidia, potesse avere violato la legge antimonopolio del Paese in relazione all’acquisizione di Mellanox.
CHI DI DAZI FERISCE DI ANTITRUST PERISCE?
Insomma, se Trump utilizza i dazi come clava, la Cina non sembra farsi troppi scrupoli a sfruttare l’antitrust come un nuovo tipo di arma per azioni mirate e molto dannose che possono favorire la concorrenza degli americani.