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Palamara

Palamara, i Trojan e lo Spazzacorrotti. Tutti gli aspetti tecnologico-normativi della Magistratopoli

L'approfondimento di Carlo Terzano sul caso Palamara e dintorni

 

I trojan utilizzati dalle Procure fanno una vittima eccellente: Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) e, fino al 2018, consigliere del Csm, oggi indagato per corruzione dalla procura di Perugia.

Si dovrebbero infatti a un malware inoculato nello smartphone del magistrato la maggior parte delle intercettazioni raccolte che in questi giorni sono pubblicate dai giornali.

Tutto questo accade in uno scenario confuso, che il legislatore non ha ancora normato nonostante i ripetuti appelli di chi lavorò a un disegno di legge rimasto nel cassetto e recentemente reso ancora più complicato dalla Spazzacorrotti, che amplia il raggio d’azione dei trojan estendendoli anche ai reati commessi all’interno della Pubblica amministrazione.

Ma andiamo con ordine.

COME FUNZIONA IL TROJAN CHE HA INTERCETTATO PALAMARA

Il funzionamento del malware è spiegato in un articolo di Vincenzo Iurillo e Virginia Della Sala pubblicato sul Fatto Quotidiano del 4 giugno: «È utilizzato per le intercettazioni, ma è super evoluto: può far ascoltare le telefonate ma raccogliere gli audio ambientali (tramite l’attivazione del microfono), i video tramite l’attivazione in remoto della telecamera, il tracciamento degli spostamenti tramite il Gps, la cronologia della navigazione online o la navigazione in diretta, registrare qualsiasi lettera digitata dalla tastiera e permettere di prendere il controllo totale del dispositivo. […] Inoltre, una particolare funzione permette a questi software di non essere rilevati dagli antivirus».

COSA DICE LA SPAZZACORROTTI

La legge anticorruzione n. 3 del 9 gennaio 2019, «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici», nota alla stampa come “Spazzacorrotti”, amplia l’uso delle intercettazioni tra presenti mediante il ricorso a trojan nei delitti contro la Pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni.

PALAMARA CADUTO NELLA RETE, FESTEGGIA IL M5S

Insomma, Palamara è il primo a fare i conti con questo inasprimento normativo per ciò che attiene le fasi di indagine. Esulta il M5S che sembra ritenere un proprio merito la “cattura” nella rete del magistrato (siamo nella delicata fase delle indagini, che potrebbero concludersi anche con l’archiviazione, e comunque ancora molto distanti dal terzo grado di giudizio, sarebbe bene ricordarlo): «Le intercettazioni effettuate con i “Trojan” si stanno rivelando importantissime anche nella vicenda che riguarda il Csm. Se oggi gli inquirenti possono utilizzare con maggiore incisività i captatori informatici è grazie al MoVimento 5 Stelle, che bloccando la riforma Orlando (PD) ne ha preservato ed esteso l’impiego». E, ancora: «Il Pd di Renzi e Orlando voleva depotenziare questo mezzo di indagine straordinario, noi, con la legge “spazzacorrotti”, lo abbiamo reso ancora più potente. I risultati, al di là degli esiti dei singoli procedimenti, è evidente e marca ancora una volta una differenza abissale tra il MoVimento 5 Stelle e il PD. Il nostro obiettivo – lo dimostrano i fatti – è sconfiggere il malaffare».

IGNORATI GLI APPELLI DEI TECNICI E DEL GARANTE

Sconfiggere il malaffare è sicuramente un nobile obiettivo. Ma a quale prezzo? Sappiamo, perché a raccontarlo proprio a StartMag fu Stefano Quintarelli, imprenditore ma soprattutto informatico, chiamato dal passato esecutivo a far parte di un team che regolamentasse questo importante ma insidioso strumento, che i malware oggi nascondono troppe insidie. E il buco normativo si presta a soprusi ai danni dei diritti fondamentali dell’imputato che un ordinamento moderno non dovrebbe consentire. Per farla breve: non sappiamo chi controlli realmente i Trojan, in quante mani passino i dati raccolti e se possano essere manipolati al fine di confezionare reati “ad hoc”, inventati di sana pianta.

Non è un caso se proprio Quintarelli sia intervenuto via Twitter sulla vicenda esponendo le proprie perplessità sull’utizzabilità in giudizio di quanto raccolto dagli inquirenti. Peraltro, nelle passate settimane, lo stesso Garante della Privacy era nuovamente intervenuto sul punto per spronare il legislatore a porre paletti significativi per evitare eventuali abusi, soprattutto alla luce del caso Exodus.

Tutti appelli caduti nel vuoto e così, oggi, grazie alla Spazzacorrotti che ha ignorato ogni richiesta di normare l’uso dei malware durante le indagini, anche le guerre intestine alla magistratura possono contare, potenzialmente, su un’arma in più, temibile e potentissima.

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