Probabilmente è ancora troppo presto perché si realizzi lo scenario vaticinato da alcuni catastrofisti che credono che stiamo correndo verso il fatidico momento in cui le macchine si ribelleranno all’uomo. Ma certo è che, se sono davvero intelligenti come ci vengono vendute (alla prova pratica, per fortuna, non proprio) hanno un ottimo insegnante: Sam Altman. Il ragazzo prodigio dell’AI, quel signor nessuno diventato di colpo il “papà di ChatGpt”, astro nascente così luminoso da oscurare (e far imbestialire parecchio) Elon Musk, sarebbe infatti pronto a strappare con Microsoft, la software house che inonda di miliardi la sua OpenAi dal 2019.
TU QUOQUE, BRUTE, FILI MI?
Le numerose vicissitudini interne a OpenAI, con Sam Altman, dominus incontrastato, prima tradito dal proprio CdA e poi reinserito al proprio posto da Microsoft avevano già trasformato la software house nel set perfetto di una telenovela sudamericana, ma adesso la vicenda si fa più seria e, con il possibile parricidio ventilato dal Wall Street Journal, saremmo perfino dalle parti del dramma shakesperiano. Perché, a conti fatti, difficilmente oggi esisterebbe ChatGpt se Microsoft non avesse riversato in OpenAi una incredibile quantità di denaro.
QUANTI MILIARDI HA MESSO MICROSOFT IN OPENAI?
I primi investimenti di Microsoft in OpenAi risalgono perfino a prima della pandemia. Un miliardo per iniziare seguito da un flusso inarrestabile di denaro: secondo il sito Semafor, l’investimento del 2023 si sarebbe aggirato sui 10 miliardi di dollari. E poco prima la software house fondata da Bill Gates (che ormai fuori dai giochi ripete di stare attenti alle insidie dell’Ai) oggi guidata da Satya Nadella vi aveva iniettato altri soldi. Totale: un tesoretto da 20 miliardi di dollari – l’equivalente di una finanziaria annuale di un Paese come il nostro -, spesi da Redmond mentre in Microsoft si licenziava a tutto spiano.
CHE SUCCEDE TRA OPENAI E MICROSOFT?
Lo “schema della crisi” è piuttosto scontato: Sam Altman vuole le mani libere nella gestione della sua OpenAI, fondata come organizzazione no-profit, che si ridisegnerà con la trasformazione in una public-benefit corporation (quindi, almeno formalmente, una entità dalle forti finalità sociali, ma nei fatti una organizzazione che fa l’interesse dei propri azionisti), passaggio che deve concludersi entro la fine dell’anno per non compromettere un finanziamento da 20 miliardi di dollari. Microsoft, da parte sua, intende approfittare di quel momento per ridisegnare la geografia dell’azienda a proprio vantaggio.
Questa trasformazione avrà effetto anche sulla raccolta dei capitali dato che mentre in precedenza gli investitori nella divisione commerciale di OpenAI potevano ottenere fino a cento volte il proprio investimento, superato il quale – spiegano gli analisti – i profitti andavano a confluire nella società nonprofit, con il passaggio a public-benefit corporation, azionisti e dipendenti potranno detenere quote ordinarie della società senza nessun limite di apprezzamento.
Un vero e proprio reboot societario. La partita insomma si giocherà sulla base delle percentuali che le due software house metteranno in tasca alla firma dell’atto costitutivo. Senza dimenticare che sopra a tutto c’è la fondazione non a scopo di lucro già esistente che continuerà a controllare l’intero ecosistema OpenAI e, a seguito di quel passaggio, diventerà anche uno dei principali azionisti della nuova public-benefit corporation.
OPENAI PRONTA A CHIAMARE L’ANTITRUST
La trattativa si sarebbe talmente irrigidita che, secondo fonti vicine alle discussioni riportate dal Wsj, i vertici della startup avrebbero preso in considerazione l’ipotesi estrema di accusare Microsoft di comportamenti anticoncorrenziali e di chiamare l’Antitrust, vecchia conoscenza Microsoft dato che autorità affini ne scansionano ai raggi X ogni acquisizione e ogni singola operazione (non ultima la travagliata compravendita del colosso dei videogames Activision Blizzard, rimasta a lungo in congelatore in attesa del via libera dell’ente federale statunitense).
In realtà a nessuno conviene agitare troppo le acque, perché da quel momento in poi il contratto tra Microsoft e OpenAi rischierebbe di essere scritto (se non stracciato) da una terza parte che rischia peraltro di essere vicina alla Casa Bianca anche se formalmente indipendente, per questo l’ipotesi più plausibile è che Sam Altman abbia deciso di ‘spifferare’ tutto al Wsj per lanciare un segnale a Redmond.
LE DUE PARTI NON SARANNO PIU’ SULLA CRESTA DELL’ONDA?
Sul tavolo anche la questione Windsurf, startup da 3 miliardi di dollari appena acquisita da OpenAI. Le carte siglate dalle parti danno a Microsoft accesso alla proprietà intellettuale della partner ma OpenAI vuole escludere Windsurf da questo perimetro e proteggerne il know-how. La realtà guidata da Sam Altman in merito sottolinea che il proprio finanziatore possiede già GitHub, che produce un prodotto concorrente. Anche qui, insomma, ci sarebbe materiale per l’Antitrust.
E poi c’è Copilot, ovvero l’intelligenza artificiale nata in quel di Redmond: Microsoft ovviamente la privilegia, proponendola ai partner ma in questo modo falcia l’erba sotto ai piedi di OpenAi con un prodotto che concorre nel medesimo campionato. E ciò, ovviamente, a Sam Altman non sta affatto bene. La partita di una possibile indagine antitrust si potrebbe giocare proprio sul ruolo di Copilot, con Microsoft che rischia di essere dipinta come la detentrice di troppe intelligenze artificiali. Redmond dal canto suo dovrà dimostrare che proprio l’attuale assetto riveli l’esistenza di una accesa concorrenza interna tra i due algoritmi che fa bene al mercato.
SAM ALTMAN CONTRO META
Sam Altman comunque è torrenziale e sembra intenzionato a mandare in scena un redde rationem che coinvolga i principali attori sul proscenio. Ospite del podcast Uncapped del fratello, ha dichiarato che Meta Platforms Inc. avrebbe offerto ai suoi dipendenti fino a 100 milioni di dollari, con pacchetti di retribuzione annuale ancora più consistenti, nell’intento di soffiarli a OpenAi pur di creare un team di intelligenza artificiale di alto livello.
“È pazzesco”, ha detto Altman sottolineando come sebbene Meta avrebbe fatto pervenire l’offerta a svariati zeri a “molte persone” di OpenAI, “finora nessuno dei nostri migliori ha deciso di accettarla”. Quel “migliori” fa però pensare che alcuni, che Altman ovviamente reputa meno bravi, l’avrebbero accettata. Quel che è certo – viene sottolineato da Bloomberg – è che Menlo Park starebbe facendo scouting tra gli ingegneri di alto livello impiegati in diverse aziende tecnologiche, tra cui Jack Rae, ricercatore principale di Google DeepMind. La scorsa settimana, l’azienda guidata da Mark Zuckerberg, ha annunciato un investimento di 14,3 miliardi di dollari in Scale AI.