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Cloud Pubblica Amministrazione

Modello Eni e Regno Unito per il cloud della PA italiana. Ecco il piano del Team Digitale di Palazzo Chigi

Che cosa ha consigliato il Team Digitale che dipende da Palazzo Chigi per riorganizzare il clou della Pubblica amministrazione. Progetti, esempi e suggerimenti

Il piano e l’obiettivo ad esso collegato è semplice: ridurre lo spreco di energia e di risorse pubbliche mettendo al contempo in sicurezza le infrastrutture digitali. Per fare ciò è necessario però tagliare gli undicimila data center pubblici nazionali accorpandoli in massimo sette strutture.

Sono queste le basi della strategia del Team per la trasformazione digitale del governo italiano per gestire i servizi digitali della pubblica amministrazione e risparmiare qualche miliardo di euro grazie alle economie di scala.

L’IDEA DEI POLI STRATEGICI NAZIONALI E L’ESEMPIO DI ENI

L’idea di un polo centrale in grado di consentire risparmi ingenti non è nuova: in casa abbiamo un esempio più che importante come Eni, il cui green data center a Ferrara Erbognone, nel cuore della Pianura padana, è uno dei più potenti al mondo, sottolinea il Team. Serve a elaborare i dati sismici e simulare i giacimenti di idrocarburi. Dalla combinazione di geofisica e informatica, “imaging sismico” e HPC nascono le nuove scoperte di idrocarburi del Cane a sei zampe.

Ma anche altri paesi hanno già intrapreso un percorso simile: il Regno Unito per esempio che già nel 2013 ha avviato il progetto Crown Hosting Data Centres, nel 2015 ha attivato due data center nazionali e ad oggi ha fatto confluire le piattaforme di quasi tutte le Pubbliche Amministrazioni centrali (24 su 27) e di 5 amministrazioni locali. Grazie a questo semplice passaggio, ogni amministrazione che ha aderito al progetto ha recuperato il costo della transizione entro il primo anno e risparmiato fino al 60 per cento dei costi di gestione già dal secondo anno. Allo stesso tempo il governo britannico può contare su una maggiore protezione di molti dei propri servizi fondamentali come difesa, sanità, istruzione e giustizia.

COSTI E SICUREZZA ALLA BASE DEL CAMBIAMENTO

Ma da dove nasce questa esigenza? La situazione attuale delle infrastrutture digitali è estremamente frammentata e costosa. In Italia operano undicimila centri di elaborazione dati i cui costi di gestione sono elevati ma anche poco sicuri da un punto di vista di possibili attacchi informatici. Naturalmente non tutte le amministrazioni italiane che ne usufruiscono – oltre 22 mila – sono in grado di reggere i costi in modo adeguato per ridurre l’enorme spreco di energia e risorse e mettere in sicurezza (anche fisicamente) le infrastrutture dove transitano i servizi nevralgici del Paese. Questa situazione, secondo il Team per la trasformazione digitale deterina, quindi, una serie di aspetti negativi.

CIRCA 2 MILIARDI L’ANNO SU UNA SPESA DI 5,8 DELLA PA SE NE VA AL MANTENIMENTO DEI DATA CENTER

Più nel dettaglio, la gestione di un data center, per quanto piccolo, ha un costo elevato legato alla manutenzione, alla collocazione fisica dei server (ad esempio l’affitto di un edificio), al consumo energetico, allo smaltimento del calore generato dall’impianto, all’obsolescenza delle macchine, alla connettività. Un costo da moltiplicare per undicimila singoli data center, che incide approssimativamente per 2 miliardi l’anno, sui circa 5,8 miliardi di euro che la Pubblica Amministrazione italiana spende ogni anno nel settore ICT (fonte Consip/Sirmi).

LA SCARSA SICUREZZA FISICA E DIGITALE

Non è tutto. Data center così piccoli sono per loro stessa natura poco sicuri. Non soltanto in termini di sicurezza informatica, ma anche di sicurezza fisica, protezione dei server e del loro funzionamento. Questo perché i data center sono quasi sempre situati in luoghi non idonei, come i centri abitati, oppure in zone a rischio sismico o idrogeologico. Non è un problema teorico secondo il Team nazionale: esiste una lunga serie di casi in cui interi servizi della Pubblica Amministrazione sono andati in tilt per fattori esterni, come un blackout improvviso, o l’esplosione legata a una fuga di gas in un appartamento adiacente, o, nel caso più grave, un terremoto.

DISTINGUERE I SERVIZI NON ESSENZIALI DA QUELLI STRATEGICI

Per questo il Team ha messo a punto una strategia che distingue i servizi non essenziali della pubblica amministrazione, che non hanno cioè un valore strategico per la sicurezza e il funzionamento del sistema Paese, e i servizi essenziali o strategici, espressamente elencati dalla direttiva NIS dell’Unione Europea sulla sicurezza informatica e di rete come sanità, energia, trasporti, settore bancario, le infrastrutture dei mercati finanziari, la fornitura e distribuzione di acqua potabile e le infrastrutture digitali. Tutti servizi che per loro stessa natura strategica non possono subire interruzioni e devono essere protetti con il più alto livello di sicurezza.

AL MASSIMO SETTE DATA CENTER COLLOCATI IN ZONE STRATEGICHE

In sostanza il Team per la trasformazione digitale ha quindi proposto di ridurre il quantitativo dei data center spostando la maggior parte dei servizi non essenziali, come la posta elettronica, la rassegna stampa di un ente o il servizio di protocollo informatico, in un apposito cloud con l’apporto di fornitori privati o pubblici (possono essere altre Pubbliche Amministrazioni, società in house o società in libero mercato). Liberando in tal modo gli enti dai costi delle infrastrutture e della manutenzione, riducendo i costi del servizio, anche a fronte di economie di scala, e creando un impulso alla crescita delle piccole aziende dell’ICT in Italia. E di rioRganizzare, invece, i servizi essenziali o strategici in un polo strategico nazionale. La proposta è di passare dagli attuali undicimila data center a un numero compreso tra i tre e i sette. Tenendo fede alle linee guida, le posizioni dei data center saranno scelte in base alla copertura di rete fornita da più operatori e dalla vicinanza di diverse reti elettriche. In particolare luoghi che non abbiano rischio sismico o idrogeologico e che siano lontani dai centri urbani e abbiano un’adeguata difesa militare. “Tutti requisiti che tanti piccoli data center non possono avere”, ha osservato il Team diretto da Luca Attias.

FORMARE ANCHE IL PERSONALE

Infine il team per la trasformazione digitale suggerisce una riorganizzazione anche del personale che opera in questi centri di elaborazione dati, proponendo una “standardizzazione di processi e regolamenti”, formando un personale che sappia gestire le nuove tecnologie e la transizione dal sistema odierno a quello proposto nel progetto.

L’ANALISI DI AGID

Già AgID nel suo piano triennale aveva mappato la situazione del paese con un censimento dei data center della Pa che nel periodo 1 giugno-31 luglio 2013 erano pari a 990 “fortemente frammentati sotto il profilo delle risorse e con frequenti situazioni di inadeguatezza tecnologica”. La successiva ricognizione effettuata sempre da AgID nel corso del 2016 ha indicato che, tra gli interventi di spesa ICT delle Pubbliche amministrazioni centrali (PAC), quelli relativi ai data center risultavano i più numerosi, per un importo pari a circa il 39% del totale. Dall’analisi era emersa, a giudizio dell’Agenzia Digitale “l’importanza della razionalizzazione delle infrastrutture fisiche, anche dal punto di vista economico”. Anche perché, evidenziava “per quanto riguarda le attività di virtualizzazione del parco macchine, la Pubblica amministrazione ha utilizzato il cloud in modo estremamente frammentato, limitandosi all’adozione di pochissime soluzioni”. Aggiungendo la proposta della soluzione di realizzare dei “poli strategici nazionali”.

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