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Microchip, cosa succede a Nvidia e Xiaomi

Le tensioni tra Stati Uniti e Cina fanno danni miliardari ai conti di Nvidia e spingono Xiaomi a investire nell'autoproduzione di microchip. Tutti i dettagli.

Jensen Huang, l’amministratore delegato di Nvidia, ha detto che le politiche commerciali introdotte dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha avuto un impatto di 15 miliardi di dollari sulle attività dell’azienda, la più grande e sofisticata produttrice di microchip al mondo.

L’impatto sui conti è legato principalmente alle restrizioni alla vendita in Cina dei processori H20 per ragioni di sicurezza nazionale, ossia per ostacolare lo sviluppo tecnologico di Pechino. L’H20, in breve, è un modello “depotenziato” rispetto ai chip venduti normalmente da Nvidia: più nello specifico, è una versione a basse prestazioni del processore H800 (la cui vendita in Cina era concessa fino al 2023), che a sua volta è la versione depotenziata dell’H100, uno dei prodotti di punta dell’azienda, molto utilizzato per i sistemi di intelligenza artificiale.

QUANTO PESANO LE RESTRIZIONI DI TRUMP SU NVIDIA

“Abbiamo cancellato, credo, 5,5 miliardi di dollari. Nessuna azienda nella storia ha mai cancellato una tale quantità di scorte, quindi questo ulteriore divieto sull’H20 di Nvidia è profondamente doloroso”, ha detto Huang. “Non solo sto perdendo 5,5 miliardi di dollari, ma […] ci siamo ritirati da 15 miliardi di dollari di vendite e probabilmente – cos’è? – da 3 miliardi di dollari in tasse”.

Nvidia aveva sviluppato il processore H20 per conformarsi ai controlli alle esportazioni introdotti dalla precedente amministrazione di Joe Biden, che però Trump ha ulteriormente inasprito. Come riporta Cnbc, nel 2024 le vendite dell’H20 hanno generato ricavi di 12-15 miliardi di dollari per l’azienda. A livello generale, la Cina è il quarto mercato di Nvidia, per importanza, dopo Stati Uniti (vale più della metà delle vendite totali), Singapore e Taiwan.

Nvidia ha una capitalizzazione di mercato di circa 3300 miliardi di dollari, ma dall’inizio dell’anno il suo titolo ha perso oltre il 2 per cento a causa delle tensioni commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina. Peraltro, mentre Washington porta avanti la sua politica di restrizione delle esportazioni con l’obiettivo di impedire alla rivale di accedere alle tecnologie più avanzate, Pechino investe nel potenziamento delle sue capacità di chipmaking (attualmente non paragonabili a quelle americane).

GLI ANNUNCI DI HUAWEI E XIAOMI SUI MICROCHIP

Il mese scorso Huawei ha annunciato di essere in procinto di collaudare dei nuovi microchip per l’intelligenza che rivaleggerebbero con quelli di Nvidia in quanto a prestazioni. Xiaomi, invece – altra società cinese famosa principalmente per gli smartphone -, ha detto che investirà almeno 6,9 miliardi di dollari in dieci nello sviluppo di semiconduttori.

L’amministratore delegato di Xiaomi, Lei Jun, ha riconosciuto le complessità tecniche del chipmaking; ciononostante, ha detto, l’azienda ha “elaborato un piano di investimenti continuo e a lungo termine: almeno dieci anni di investimenti, almeno 50 miliardi di yuan, costante e continuo, passo dopo passo”. Il primo microchip, chiamato Xring 01, verrà presentato nei prossimi giorni.

Xiaomi aveva già tentato la strada dell’autoproduzione di microchip nel 2014, ma ha finito per abbandonare il progetto a causa di diverse complicazioni. La nuova iniziativa di chipmaking, che ha condotto all’Xring 01, è iniziata nel 2021. “Xiaomi”, ha spiegato Lei, “ha sempre avuto il ‘sogno dei chip’ perché, per diventare una grande azienda tecnologica, i chip sono una vetta da scalare e una dura sfida che non può essere evitata”.

Storicamente, Xiaomi ha fatto affidamento sui microchip di Qualcomm (statunitense) e di MediaTek (taiwanese) per i propri dispositivi elettronici.

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