A partire dal 2009, anno in cui è stato introdotto il contratto di rete in Italia, disciplinato dal Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni in Legge 9 aprile 2009, n. 33, con l’obiettivo di far crescere la dimensione delle piccole imprese italiane, il paradigma macroeconomico è profondamente cambiato e condizionato in primis dalla crisi dei sub-prime (2009-2010) e dei debiti sovrani (2011-2012), fino ad arrivare al 2020, anno della pandemia, e al triennio 2022-24, anni caratterizzati da un lato dai conflitti Russo-Ucraino e Israelo-Palestinese e, dall’altro, dal ritorno dell’inflazione e dalla fine delle politiche monetarie espansive di FED e BCE con l’aumento dei tassi di interesse. La novità è che in uno scenario macroeconomico così variabile e fortemente cambiato nell’ultimo quindicennio, il trend di crescita dei contratti di rete non si è arrestato, coinvolgendo sempre un numero maggiore di imprese distribuite su tutto il territorio nazionale.
IL CONTRATTO DI RETE SI DIFFONDE
Una verifica empirica di tale affermazione è stata effettuata incrociando l’andamento del Pil italiano con quello relativo al numero dei contratti di rete in serie storica (2010-2024): al primo semestre 2024, in base ai dati in nostro possesso (Fonte: Infocamere), il numero complessivo di contratti di rete è stato pari a 9.231 con 48.574 imprese partecipanti con un rapporto medio imprese per ogni rete pari a 5,08. Solo per fare un mero confronto temporale, nell’ultimo quadriennio (2021-1 sem. 2024), nonostante la crisi, il numero complessivo di contratti di rete è cresciuto di circa 2.000 unità con un incremento di circa il 20% e un coinvolgimento di oltre 6mila imprese (nel 2021 il numero complessivo di contratti di rete era di 7.541 con 42.231 imprese aggregate).
Alla luce di questi dati si è arrivati alla conclusione che non c’è una significativa relazione tra andamento del ciclo economico (variazioni del Pil) e crescita del numero dei contratti di rete, in modo da considerare il contratto di rete una misura a-ciclica rispetto anche all’utilizzo da parte delle imprese di altre misure di sostegno agli investimenti aziendali, in particolare quelle sostenute dalla leva fiscale o creditizia più sensibili all’andamento del ciclo economico come ad esempio a “Transizione 4.0” misura comunque di successo.
In una recente pubblicazione (A. Tunisini, G. Capuano, T. Arrigo, “Contratto di Rete per il Made in Italy”, 2024, FrancoAngeli) studiando i trend dei contratti di rete stipulati, l’andamento delle performance delle imprese che vi hanno partecipano e incrociando i dati con altri indicatori di tipo micro e macro si è arrivati ad alcune interessanti conclusioni.
I BENEFICI PER IL MADE IN ITALY
In particolare, il contratto di rete come misura per il Made in Italy oltre ad essere a-ciclico come spiegato in precedenza, ha favorito in molti casi il passaggio dallo status di “impresa isola” (ossia di impresa che non fa parte di reti e/o filiere produttive) a quello di “impresa in rete” indipendentemente dall’andamento dell’economia italiana.
Esse, grazie all’utilizzo del contratto di rete, hanno potuto strutturarsi, creare occupazione e innovare. In pratica la misura ha consentito loro di iniziare “a pensare” da grandi imprese pur essendo di piccole dimensioni, in modo da favorire i processi di innovazione e di ampliare i mercati di riferimento in particolare quelli esteri.
Inoltre, il contratto di rete è stato utilizzato dalle imprese di tutte le nostre regioni da Nord a Sud, consentendo, in particolare alle imprese del Mezzogiorno di micro dimensioni, di organizzare le proprie funzioni produttive in rete/filiera diventando più resilienti alla congiuntura negativa, più performanti, più informate sul PNRR e maggiori utilizzatrici di risorse pubbliche messe a loro disposizione rispetto alle imprese “isola”.
Una misura di successo che, comunque, non è ancora molto conosciuta presso il grande pubblico delle imprese italiane costituito da 4.665.423 aziende (il 94,9% di esse ha meno di 9 addetti) che rappresentano il 14,6% delle aziende extra-agricole dell’UE27 e che danno lavoro a 18.217.609 persone (circa l’11% del totale UE).
IL POTENZIALE DEL CONTRATTO DI RETE
In conclusione, partendo dal presupposto che l’universo delle MicroPMI è quantitativamente rilevante e non è un corpo omogeneo ma è un “organismo vitale” molto complesso e differenziato per dimensione, settori, genere e territori, se rispettato il trend storico, secondo una nostra stima assisteremo al superamento della soglia dei 10mila contratti di rete e delle 50mila imprese partecipanti entro il biennio 2025-2026, anche grazie all’utilizzo dei fondi del PNRR.
Numeri ancora limitati rispetto alle grandi potenzialità rappresentate dal tessuto di imprese italiane me che con una buona campagna di informazione a livello nazionale e sui territori il contratto di rete potrebbe rappresentare una misura di estrema importanza per il nostro Made in Italy, a costo zero per il bilancio dello Stato. Quest’ultima è una “virtù” che, in un contesto di risorse scarse, non è assolutamente da sottovalutare.