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Io, sindacalista, vi dico: l’innovazione è cosa buona e giusta. Il libro di Bentivogli

Pubblichiamo l'introduzione di "Contrordine, compagni - Manuale di resistenza alla tecnofobia per la riscossa del lavoro e dell’Italia" il nuovo libro di Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl, edito da Rizzoli (2019), che sarà presentato il 28 marzo a Roma

Non siamo in un momento qualsiasi della storia dell’umanità. Possiamo decidere di chiudere gli occhi, come fanno molti, ma l’innovazione, come è noto, non chiede il permesso.

Oggi sembrano più rassicuranti le visioni catastrofiste. Una di queste ricorre a un’immagine di Warren Bennis e racconta un futuro in cui compaiono un uomo, un cane e un robot che sostituisce integralmente il lavoro umano: «L’industria del futuro avrà solo due dipendenti: un uomo e un cane. L’uomo sarà lì per nutrire il cane. Il cane sarà lì per evitare che l’uomo tocchi qualcosa». Per quanto suggestiva, questa immagine restituisce solo metà della verità.

Il libro che avete tra le mani ha questo obiettivo: spiegare nel modo più chiaro possibile che vi sono sempre insidie e minacce, ma che il futuro è un formidabile terreno di sfida in cui nulla è predeterminato; che è importante cogliere alcune tendenze già in atto, e soprattutto decidere cosa e come fare perché la persona resti il fine di ogni progetto umano, che sia economico, industriale, tecnologico o sociale.

Tutto cambia, persino la nostra percezione delle variabili di spazio e tempo sta mutando in relazione ai cambiamenti che la tecnologia porta nelle nostre vite. L’utilizzo che ne facciamo è condizionato dalla velocità e dalle possibilità, non infinite ma certo aumentate, che l’innovazione offre. Esistono due approcci: il primo è quello passivo, individualista e pessimista che comporta essere travolti, guidati, sostituiti. Il secondo è, invece, quello di governare i processi, riempirli di contenuti e obiettivi che superino lo spazio angusto dei nostri affanni e traccino un futuro nel quale le persone rientrano nella dimensione del «noi» e di un progresso umano e solidale.

«Il tempo è superiore allo spazio. Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati» scrive Papa Francesco in Evangelii Gaudium. «Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività sociopolitica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. […] Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici.»

È una lezione straordinaria che il Santo Padre riprenderà nel 2015 con la Laudato si’: nell’avvio e nella gestione del processo, con lo sguardo oltre se stesso, l’essere umano pone le basi per la costruzione di una società migliore. Ed è un invito all’azione dal quale è necessario muoversi per interpretare in anticipo, con operosa serenità, i poderosi cambiamenti che la quarta rivoluzione industriale porta con sé.

La velocità del cambiamento

L’elettricità e il motore elettrico impiegarono più di quarant’anni a diffondersi. Per molte ragioni, tra cui la scarsa affidabilità delle prime applicazioni. Oggi, grazie ad algoritmi, dati e potenza di calcolo, l’innovazione galoppa e si diffonde in tempi rapidissimi. Probabilmente la relazione che meglio può esprimere la crescita determinata dalle tecnologie cui stiamo assistendo, e alla quale assisteremo nei prossimi anni, è quella di una funzione esponenziale: non un progresso veloce ma, anzi, dapprima lento, poi improvviso e deflagrante, con esiti trasformativi in larga parte, a oggi, imprevedibili.

Dalla prima, grande rivoluzione nella storia dell’umanità, quella neolitica, scriveva David Landes, «ci vollero all’incirca diecimila anni per fare il successivo passo avanti di portata paragonabile: l’introduzione di nuove tecniche industriali a cui diamo il nome di Rivoluzione industriale. […] Grazie a questo progresso sono bastati meno di duecento anni per passare d’un balzo all’energia atomica e all’automazione; e nel frattempo il ritmo dei cambiamenti si è accelerato in ogni campo». Mentre scriveva queste parole alla fine degli anni Sessanta, lo storico americano poteva ipotizzare che il mondo si trovasse all’inizio della terza rivoluzione industriale e che anche in futuro si sarebbero verificate tante rivoluzioni corrispondenti alle «sequenze, fra loro distinte, di innovazione industriale».

Ma quasi certamente non poteva prevedere ciò che sarebbe accaduto di lì a pochi decenni, ovvero che la nuova, quarta rivoluzione sarebbe stata molto più simile a un vero e proprio cambio di assetto piuttosto che a un progresso lineare. Industry 4.0 è, lo vedremo, molto più di una rivoluzione industriale: combinata alla tecnologia blockchain e all’Intelligenza artificiale, si configura come il secondo balzo in avanti dell’umanità.


I dati demografici mondiali fino all’Ottocento sono più o meno regolari. Il primo balzo in avanti è avvenuto con la diffusione della macchina a vapore: questa invenzione e i suoi successivi miglioramenti consentirono il superamento dei limiti della potenza muscolare umana e animale. Oggi le tecnologie della quarta rivoluzione industriale ampliano e aumentano le capacità cognitive della nostra specie. Questo, rispetto alla produzione, darà vita a un mondo che non siamo in grado di immaginare compiutamente e che implica discontinuità rispetto al passato.

Produzioni, lavoro, nuovi ecosistemi cambieranno la vita di ciascuno, per cui la prima operazione da compiere è quella di comprendere ciò che ci aspetta e capire che si tratta di una trasformazione più impegnativa di una semplice robotizzazione.

Anche la Fiat Ritmo del 1978 era completamente automatizzata e veniva prodotta tramite robot nello stabilimento di Cassino, in provincia di Frosinone, ma la fabbrica 4.0 è qualcosa di completamente diverso: è interconnessa con un livello di interdipendenza all’interno di un ecosistema intelligente, in un dialogo tra macchina e macchina e tra macchine e uomo.

La vera svolta è la connessione costante con l’ecosistema esterno materiale e immateriale attraverso nuvole di dati (cloud). In Italia, di fatto, non esiste ancora nulla del genere. Le prime piccole esperienze nel nostro Paese sono nicchie, cantieri che non somigliano nemmeno a una fabbrica 4.0. Quest’ultima è invece completamente integrata al suo interno sulle nove tecnologie abilitanti, che vedremo nel dettaglio più avanti: sistemi di produzione avanzati, manifattura additiva, realtà aumentata, simulazioni, integrazione orizzontale e verticale dei sistemi informativi, Internet delle cose, cloud manufacturing, cybersicurezza, utilizzo e analisi dei big data.

Le fabbriche di Siemens e Bosch sono state le prime a cimentarsi davvero sul 4.0. Questa mutazione implica la necessità di ripensare la produzione e le persone impegnate nella produzione, ma anche di rigenerare il territorio intorno a una fabbrica smart. Una fabbrica funziona se ci sono addetti con la professionalità adeguata, ma soprattutto se intorno vi è, appunto, un ecosistema intelligente. È questo contesto che consente di riportare la manifattura al centro, e l’Industry 4.0 è l’occasione – l’ultima – per raggiungere l’obiettivo, con buona pace di chi parla di dematerializzazione dell’economia.

Per riuscirci, oltre che di formazione – se ne parlerà ampiamente più avanti – c’è bisogno di una programmazione e di una progettazione politica e sociale che tenga conto dei megatrend tecno-industriali e umani, da svilupparsi sul lunghissimo periodo.

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