Il liberalismo moderno si era costruito sulla netta distinzione fra pubblico e privato. “Costruito” è proprio il termine giusto perché questa distinzione, come le altre che caratterizzano la modernità, è frutto di un processo storico. È una vera e propria “invenzione”. In qualche modo è il pubblico che si autolimita e costituisce la sfera del privato, o, al contrario, il privato che affida al pubblico una parte della sovranità che ha su sé stesso. In perfetta continuità con quella tradizione giudaico-cristiana in cui affondano, liberalismo e modernità hanno concepito l’uomo terreno come un’unione di due elementi separati e separabili fra loro (Cartesio ha parlato di res extensa e res cogitans): affidando alla potestà individuale la parte più nobile – il foro interiore – e allo Stato il potere su quella esterna, cioè sui corpi.
La privacy, che è diventata quasi un’ossessione dei nostri tempi, è fondata su questa distinzione: c’è un foro interiore che è solo mio e nessuna autorità, nemmeno lo Stato, può intromettersi in essa o contestarmi le idee che in essa maturano. Questo schema, approssimativo come tutti gli schemi empirici, è venuto per la prima volta in seria crisi con l’avvento dei totalitarismi, i quali, con un uso spregiudicato della persuasione e della “psicologia delle masse”, hanno preteso di avere piena potestà non solo sui corpi ma anche sulle anime degli individui. Una vera e propria pubblicizzazione del privato. Scomparsi quei regimi, anche nelle nostre democrazie quella distinzione su cui si era fondata la modernità ha cominciato a mostrare molte crepe: l’individuo, per i più diversi fini, è sempre più monitorato, controllato, “tracciato” nei suoi atti e comportamenti.
La tecnologia, con l’avvento della globalizzazione informatica, ha dato un aiuto. Di pari passo, si è cercato e si cerca di regolarizzare con leggi e normative, la gestione dei dati. Sembra, sempre più, una fatica di Sisifo. Sempre più noi siamo i nostri dati, e questi dati rischiano di essere a disposizione, se non di tutti, di troppi. È inutile negare che un problema per la nostra libertà si pone e che, se non l’utopia del Grande Fratello, certo il pericolo di un adattamento, per comodità e inconsapevolezza, più o meno volontario a comportamenti e modi di pensare standard esiste. E ciò che è standard è per principio nemico della libertà. Smontare il mito della “trasparenza”, mostrando come l’uomo, quando la luce è troppa, rischia di non vedere allo stesso modo di quando è al buio, è un contributo minimo che un liberale può dare in questa fase. Ancora una volta, il liberalismo si mostra come la tecnica che sa mediare e tenere in vita i poli opposti: è questa mediana la sua dimensione, così come quella in cui in generale si muove ciò che è umano.