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La dura (e dispendiosa) lotta di Getty alle Intelligenze artificiali malandrine

Inseguire con processi e carte bollate le Ai pirata che saccheggiano i database è una operazione troppo costosa anche per i colossi come Getty. Per questo le media company sperano in un provvidenziale intervento di Trump

Le Intelligenze artificiali, si sa, per apprendere e migliorare hanno bisogno di divorare una immane quantità di dati. E molte software house per farlo nel più breve tempo possibile – e pure nel modo più economico – le hanno sguinzagliate per la Rete con la tecnica del ‘web scraping’. Nei fatti bisogna immaginarle come uno sciame di locuste che attraversa le praterie digitali di Internet divorando ogni cosa. Un bel problema per i proprietari delle colture, per lo più editori e media company, che oltre a non avere voce in capitolo su quanto sta avvenendo vedono i loro database sfruttati gratuitamente, senza alcun ritorno economico. Per questo a inizio 2023 Getty Images, tra le più note e importanti librerie fotografiche utilizzate dalla stampa internazionale, ha fatto causa a Stability AI, sostenendo che Stable Diffusion fosse stato allenato con milioni di foto almeno in teoria coperte da copyright.

FIOCCANO LE CAUSE CONTRO LE AI PIRATA

Per Getty, Stability AI ha messo in atto una “violazione sfacciata della proprietà intellettuale di Getty Images su scala sbalorditiva” dal momento che avrebbe “copiato 12 milioni di immagini per addestrare il suo modello di intelligenza artificiale senza permesso o compenso”, per poi fare “attività concorrente”.

La causa aveva seguito di pochi giorni quelle intentate dalla nota fumettista Sarah Andersen, dall’artista digitale Kelly McKernan e dall’illustratrice Karla Ortiz contro le compagnie statunitensi Stability AI, Midjourney e DeviantArt. Minimo comune denominatore la lagnanza che il software Stable Diffusion di Stability AI fosse stato allenato copiando miliardi di immagini protette da copyright per consentire a Midjourney e DeviantArt di creare immagini negli stili di quegli artisti senza autorizzazione.

MA SERVE A QUALCOSA?

Che le software house che dovrebbero tenere al guinzaglio i propri algoritmi li lascino invece liberi di depredare il lavoro degli altri è tristemente noto: soltanto poche settimane fa OpenAi ha ufficializzato le proprie attività di ‘plagio’ dello stile del maestro Hayao Miyazaki permettendo a tutti di realizzare immagini e ritratti sulla falsariga delle opere create dallo Studio Ghibli. Al momento non si hanno notizie di cause da parte dei disegnatori nipponici, mentre è certo che quella nuova feature ha permesso alla software house di Sam Altman di ottenere tantissimi nuovi prompt utili ad affinare le proprie fameliche Ai.

GETTY GETTA LA SPUGNA?

Il problema è che intentare causa permette di avere – forse – giustizia solo dopo mesi se non anni dal primo atto: nel mentre gli algoritmi hanno già fatto scempio dei propri database. Come spiegano alcuni esperti del settore, non è nemmeno dato sapere se sia materialmente possibile una restituzione del maltolto, dopo che le intelligenze artificiali lo hanno assimilato.

Non solo, Craig Peters, Ceo di Getty, ha dichiarato a Cnbc che l’azienda ha speso “milioni e milioni” di dollari solo nella causa contro Stability AI, definendola “straordinariamente costosa”. E nel mentre il Web è attraversato da migliaia di intelligenze artificiali pirata difficili da rintracciare, molte delle quali allevate in Paesi che hanno storicamente difficoltà a comprendere cosa sia la tutela di copyright e trademark. “Anche un’azienda come Getty Images non può perseguire tutte le violazioni che si verificano in una sola settimana”, ha dovuto ammettere l’Ad.

Il risultato è che persino un colosso come Getty che, a inizio anno ha annunciato una fusione con l’ex rivale Shutterstock per la creazione di una società di contenuti visivi dal valore di circa 3,7 miliardi di dollari, sembra in enorme difficoltà nel tenere a bada giudizialmente le Ai pirata che realizzerà sulla base di ciò che sgraffigna sul web immagini di stock da rivendere a buon prezzo. “Non siamo contrari alla concorrenza – ha precisato Peters – C’è una nuova concorrenza costante che arriva continuamente da nuove tecnologie o semplicemente da nuove aziende. Ma questa è semplicemente concorrenza sleale, è furto”.

LA RISPOSTA DI STABILITY AI

Da parte sua Stability AI ribatte sostenendo che l’addestramento su dati liberamente disponibili online rientri nel “fair use” (uso equo) ai sensi della legge sul copyright. Inoltre come molte altre software house ribadisce che agire in modo corretto, ovvero sfamando le Ai solo dopo aver ottenuto il consenso degli aventi diritto – magari anche pagandoli – “ucciderebbe l’innovazione”, svantaggiando le aziende americane rispetto alle rivali che operano in Paesi con leggi meno severe. Il non detto è che se il legislatore americano dovesse porre troppi lacci e lacciuoli, la Cina sorpasserebbe immediatamente le aziende made in Usa.

GETTY CONFIDA IN TRUMP

Anche per questo sembra troppo ottimista l’amministratore delegato di Getty quando lascia intendere di essere pronto a rivolgersi a Donald Trump nella speranza che le nuove leggi in preparazione accontentino tutti: il nuovo presidente vuole infatti sfruttare la corsa all’Intelligenza artificiale come chiave di volta per realizzare quell'”età dell’oro” promessa a più riprese, dunque difficilmente darà il proprio ok a norme che dovessero rischiare di rallentare il processo evolutivo degli algoritmi a stelle e strisce.

Quel che è certo è che tre-quattro decadi fa anche la pirateria musicale pareva inarrestabile, ma la vicenda di Napster ha dimostrato che pure i pirati del Web talvolta devono fare i conti con la legge. Se c’è la volontà degli Stati di attuarla seriamente.

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