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Tecnologia Conoscenza

Perché tecnologia e conoscenza rendono competitive le aziende. L’intervento di Zanocco (Cisl)

I settori industriali che sono riusciti a far fronte alla crisi, in Italia, sono quelli nei quali si sono mantenuti in crescita i processi di innovazione tecnologica. L'intervento di Michele Zanocco, segretario nazionale Fim Cisl

Nel nostro paese i settori industriali che sono riusciti a far fronte alla crisi e che oggi stanno cogliendo importanti risultati, soprattutto sul piano dell’export, sono quelli nei quali si sono mantenuti costantemente in crescita i processi di innovazione tecnologica. Appare sempre più chiaro che il mantenimento di elevati livelli di ricerca e sviluppo e la permeabilità nelle aziende e nei lavoratori della conoscenza e del sapere, sono gli elementi principali per la competitività delle imprese e l’occupabilità dei lavoratori.

Dall’ingresso nella crisi del 2008 ad oggi è emerso chiaramente come la sola rincorsa alla riduzione dei costi, a partire dal costo del lavoro, non sia più la leva universale per il successo per le produzioni sia fisiche che immateriali e questo è dimostrato da operazioni di reshoring che molte aziende hanno messo in campo grazie alla rinnovata prevalenza della capacità tecnologica e alla conoscenza tecnica a disposizione.

La vera sfida per il rilancio della nostra industria e complessivamente per il lavoro nel nostro paese quindi, non può che essere quella data dalla capacità di investimento in innovazione tecnologica e dalla capacità di tenere costantemente aggiornate le competenze dei lavoratori in ciascun settore.

La frontiera del nuovo processo di sviluppo deve coinvolgere ed integrare sempre più chi produce con chi utilizza, in una logica di partnership intensa e non solo chiusa nel rapporto produttore – acquirente.

Per far questo serve diffondere il valore della conoscenza e del cambiamento continuo.

La conoscenza nella nuova civiltà delle macchine non è un bisogno nuovo ma si propone e ripropone ad ogni salto tecnologico.

Ritengo sia utile soffermarci in due riflessioni: la prima di carattere tecnologico.

Il progresso tecnologico non si è mai fermato e non si fermerà ma soprattutto la storia dimostra come questo non sia di per sè nemico dell’uomo.

Due esempi, tra le migliaia che si potrebbero fare, dimostrano la validità di questo e sono storie di vita vissuta.

Il crollo del Ponte Morandi a Genova stava portando al collasso molte attività industriali a causa dei profondi disagi logistici per gli spostamenti di merci e persone. Un’importante azienda che occupa oltre 1500 lavoratori del mondo dell’informatica si è trovata nella condizione di non poter più gestire efficacemente le attività produttive. Azienda e Organizzazioni Sindacali si sono sedute al tavolo per ricercare soluzioni compatibili. La volontà delle parti ha consentito di costruire un accordo che ha portato oltre 900 donne e uomini ad utilizzare per 10 giorni al mese lo strumento dell lavoro agile, possibile solo attraverso l’utilizzo delle tecnologie che consentono il lavoro da remoto in sicurezza. La tecnologia ha consentito di rispondere ai bisogni di una città colpita ferocemente, a quella di uomini e donne nella conciliazione del loro lavoro con la gestione dei tempi di vita e all’azienda nel mantenimento delle attività produttive che sarebbero, in caso contrario, state messe in seria discussione.

La mia ultima esperienza lavorativa prima di essere chiamato a fare attività sindacale esterna, è stata quella di operaio fonditore. Conosco ed ho vissuto la fonderia, nella fatica fisica e nell’impegno di orari a ciclo continuo ventiquattrore ore al giorno, per sette giorni la settimana.

Pochi mesi fa, in una visita presso un’azienda dell’aerospazio, sono stato accompagnato nella fonderia presente che mi era stata dipinta come un “viaggio nel futuro”. Sono entrato in un corridoio pressurizzato e al di là della porta ci attendeva il fonditore: un giovane vestito con jeans e camicia. La fonderia era una stanza con il pavimento bianco, nessun rumore, l’aria pulita grazie a sistemi di aspirazione forzata all’avanguardia e dentro, alcune macchine stavano “fondendo” le loro produzioni. Questa fonderia era composta da impianti di manifattura additiva, macchine che strato dopo strato, autonomamente, davano forma a particolari molto complessi che sostituivano, con un unico processo di fusione, decine di altri particolari che precedentemente componevano il prodotto finale, eliminando fasi di processo e riducendo molti dei precedenti cicli di lavorazione. Il fonditore non aveva tuta, guanti termici e visiera ma era un tecnico informatico, quasi certamente ingegnere, che comandava il tutto da un sistema computerizzato, attraverso il quale poteva controllare gli impianti, progettare e sviluppare quanto l’azienda decideva di produrre.

La tecnologia sviluppata grazie ad internet velocizza e diffonde le competenze ma le invecchia in modo molto più rapido.

La prospettiva delle evoluzioni di Industria 4.0 sta progressivamente cambiando le competenze necessarie per operare in questi nuovi ecosistemi produttivi. Si sta passando sempre più velocemente dalla presenza di competenze basiche sufficienti nella parcellizzazione dell’attività e nella frammentazione dei cicli di produzione, al lavoro in team, dal mero calcolo del numero di pezzi prodotti, alle milestones di progetto.

Il permeare della tecnologia genera nuove attività e nuove professioni più articolate e complesse e trasforma progressivamente le mansioni in ruoli (esempio ben rappresentato recentemente dal Dott. Federico Butera presidente della Fondazione IRSO) non chiedendo più esclusive attività codificate, codificabili e ripetibili ma coinvolgendo il lavoratore come parte integrante e attiva di un continuo cambiamento sia del processo aziendale, che del prodotto.

Tra gli effetti già chiaramente visibili nel lavoro, dobbiamo registrare la polarizzazione delle competenze richieste anche con effetti difficilmente immaginabili solo pochi anni fa.

Gli investimenti tecnologici, l’utilizzo e l’applicazione sempre più estesa dei nuovi fattori e tecnologie abilitanti di Industria 4.0 ( IoT, Cloud, Big Data Analytics, Cybersecurity, Realtà Aumentata e Virtuale, Manifattura Additiva, Robotica e Automazione Avanzata, Sensoristica, Integrazione dei Sistemi) sono intervenuti avanzando la richiesta di lavoratori con professionalità e competenze sempre più elevate e attraverso customizzazioni e semplificazioni dei processi e dei prodotti sia fisici che immateriali, consumando la richiesta delle qualifiche intermedie.

Oltre alle produzioni della fabbrica tradizionale anche le attività del mondo ICT precedentemente “salvato” dalla crisi, sta subendo veloci trasformazioni.

La crescita tecnologica, l’utilizzo dell’open source, l’incremento delle capacità di elaborazione e di sviluppo dei programmi, la riduzione del valore di parte dei prodotti informatici sta generando, anche in questo mondo, polarizzazioni di qualifiche richieste dal mercato, portando all’attenzione la competizione sul costo del lavoro, elemento che precedentemente era presente quasi esclusivamente nelle aziende a produzione “fisica”.

Molte delle attività informatiche ormai sono considerate commodity e proprio grazie alle tecnologie internet, sono acquistabili world wide, facendo riemergere l’annoso tema del dumping contrattuale internazionale, impossibile da affrontare né a livello europeo né tantomeno mondiale.

Anche nel mercato “protetto” interno del nostro paese nell’aggiudicazione di alcune importanti gare anche pubbliche, i valori orari dell’attività informatica sono ben più che dimezzati, arrivando a non essere poi così molto distanti da quelli di un carpentiere o un saldatore in un’azienda tradizionale metalmeccanica.

I salti tecnologici sono continui ed inimmaginabili i loro confini di utilizzo. I software oggi a disposizione nelle loro varie applicazioni (firmware, software di base, driver, software applicativi e sistemi operativi) consentono la comunicazione, la costruzione e la gestione di dati ed il funzionamento di dispositivi: ad esempio, sono già in fase di test software che, differentemente da prima, sono in grado di autogenerarsi.

Il lavoro che precedentemente veniva compresso all’interno dello spazio fisico e nel rapporto diretto di dipendenza subordinato o autonomo con un’azienda, ora assume forme e modalità completamente diverse.

Esistono portali in rete che propongono lavoro per partecipare allo sviluppo di progetti o a parti di questi. Chi decide di operarvi in qualità di freelance, in alcuni casi può entrare ed uscire dal progetto senza particolari vincoli, interagendo con altri tecnici assolutamente sconosciuti, non legati da medesimi rapporti di lavoro dipendente, che vivono da ogni parte del mondo e l’attività svolta viene pagata in funzione del contributo che la persona garantisce nello stato di avanzamento del programma.

Per affrontare e vincere la sfida tecnologica serve quindi far crescere e diffondere competenze tra le lavoratrici ed i lavoratori.

L’assenza di queste farebbero retrocedere il sistema industriale ed il nostro paese collocandoci in aree che non garantirebbero gli attuali diritti e tutele sociali faticosamente conquistati e genererebbe ulteriori disparità sociali aprendo la strada ai rischi che possiamo immaginare.

Serve incrementare e sostenere la trasformazione 4.0 delle aziende – a partire dalle piccole e medie che rappresentano la gran parte tessuto industriale del nostro paese.

Serve che la cultura della formazione continua parta dall’istruzione, rafforzando il collegamento tra percorsi scolastici/universitari ed il lavoro dando dignità e senso allo strumento dell’Alternanza Scuola-Lavoro.

Serve migliorare e qualificare l’offerta formativa scolastica ed universitaria iniziando un processo che porti la crescita delle capacità di problem solving rivedendo la parte nozionistica che, come spesso accade per chi entra al lavoro negli ambiti informatici e tecnologici, va ricostruita ed aggiornata dalle aziende che assumono.

Serve potenziare la formazione continua e farla diventare un elemento di valore culturale trasformandola da parte delle imprese da costo ad investimento primario: serve un sistema univoco di Certificazione delle Competenze dei lavoratori che guardi al ruolo e non più solo alla mansione.

E’ necessario che il Diritto Soggettivo alla Formazione sia amplificato, generalizzato e reso esigibile

A tal fine non è sufficiente inserire i nomi delle nuove mansioni nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro ma vanno valorizzati i sistemi di valutazione professionale quali i descrittori dei livelli del quadro europeo delle qualifiche (EQF) e l’European e-Compence Framework che si fondano sui principi di “Conoscenza” (Sapere), “Abilità” (Saper essere) e “Attitudine” (Saper fare) in base al livello di capacità, cioè attraverso il livello di “Autonomia”, “Complessità” e “Comportamento”.

Serve infine trattenere i cervelli in fuga e far rientrare quelli già “fuggiti”. Per farlo è necessario dare un segnale forte di interesse, di valorizzazione della meritocrazia e investimento vero da parte del paese e delle imprese: è incompatibile immaginare, come avviene tuttora, che un laureato ad un anno dalla laurea arrivi ad una retribuzione di millecento euro mensili.

La seconda riflessione, più breve addentrandomi in un campo non di mia pertinenza, è di carattere Umanistico.

Nel 1953 usciva il primo numero della rivista “Civiltà delle Macchine” rivista diretta da Leonardo Sinisgalli e a quest’ultimo si rivolse Giuseppe Ungaretti in una sua lettera nella quale, tra l’altro, scriveva:

“Tu sai dell’acceleramento portato alla storia dalla macchina, e della precarietà che ne viene agli istituti sociali e del linguaggio che non sa più come fare per avere qualche durata da potersi volgere indietro e in qualche modo verificarsi lungo una qualche prospettiva. Quale sforzo dovrà sempre più fare l’uomo per non essere senza amore, senza dolore, senza tolleranza, senza pietà, senza ironia, senza fantasia, ma crudele, con il passato crollato insensibilmente crudele come la macchina?”

Il poeta analizzava dal punto di vista sociologico gli effetti della rapidissima evoluzione tecnologica del periodo e guardando oltre, disegnava un futuro dove l’uomo, sovrastato dal progresso tecnologico, perdeva la sua anima nell’essere superato nella fantasia dalle macchine.

La fantasia è quanto rende unico ogni uomo ed ogni donna; rappresenta l’ingegno, l’arte, la musica, la scrittura, la poesia. La fantasia ci consente di immaginare i fatti e le cose prima che accadano, di intuirle, di desiderarle, di perseguirle. La fantasia ci consente di vedere e costruire relazioni con persone e trovare soluzioni anche quando sembrano non esserci.

Ungaretti riteneva, come molti sociologi e filosofi, che serviva impedire la sopraffazione della macchina sull’uomo; per farlo era necessario che il progresso tecnologico fosse guidato e condotto anche attraverso la ricerca umanistica, affinchè fosse l’uomo a dominare la “macchina” quale arma di progresso moralmente sostenibile.

La tecnologia sta pervadendo sempre più e sempre più velocemente la nostra vita, amplifica e distribuisce lungo tutta la giornata il tempo di lavoro: siamo sempre più connessi ma sempre meno liberi.

La tecnologia invade, anche fuori dall’ambito lavorativo, la nostra vita privata, modificando sociologicamente i rapporti e molto spesso incattivendoli per carenza di relazioni umane, creando con la stessa tecnologia (pensiamo ai social) relazioni transumaniste (H+) e generando una solitudine collettiva tecnologica.

In questa ineludibile rincorsa al progresso tecnologico tutti dobbiamo operare per ridare il giusto peso a quello che dovremmo essere come uomini, recuperando la recettività e quindi la capacità di condividere le gioie ed i dolori altrui, che sta alla base dell’umanità che rappresenta il “senso della dignità universale dell’uomo portatore naturale di diritti inalienabili”.

L’Italia che è stata la culla dell’Umanesimo e lo ha regalato al mondo, può e deve guardare al suo passato per disegnare un futuro pieno di tecnologia, che aiuti a rimettere al centro l’Uomo e la sua Umanità, senza la quale la rincorsa alla tecnologia non avrebbe alcuna utilità e senso.

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