Caro direttore,
ti volevo raccontare alcune disavventure piuttosto recenti che a mio avviso meriterebbero posto in un giornale graffiante come Start, sempre attento a raccontare l’innovazione come pure i ritardi e le contraddizioni del nostro Paese.
Visto che si parla tanto di Pnrr, di transizione digitale (abbiamo avuto un ministero!), ma pure ecologica (meno carta in giro è un favore anzitutto all’ambiente, penso), trovo anacronistiche le vicende che mi sono capitate nell’ultimo periodo.
INPGI, DUE SITI MEGLIO DI UNO?
La prima riguarda la nostra cassa pensione. Qualche mese fa ero diventato matto solo per comunicare il cambio di residenza. In quella stessa occasione avevo scoperto che cercando “Inpgi” su Google escono due siti: il primo, .it, immagino dismesso, ma ancora perfettamente attivo, il secondo .net, dovrebbe essere quello nuovo, ma per quanto ne so potrebbe anche essere l’opera di un hacker, visto che l’esistenza di due siti paralleli porta sempre a farsi qualche domanda. Soprattutto quando sono entrambi bruttarelli e vecchiotti graficamente.
Comunque sia, nessuno dei due, al loro interno, spiega ovviamente a chi scrivere per comunicare il cambio di residenza. E l’area per gli iscritti è inutile: ti mostra la tua, ma non c’è alcun pulsante per modificare i dati. Decido allora di passare da Google che, come dimostra l’immagine che allego, mi spedisce su quello che io penso essere il vecchio sito dell’Inpgi.
Inutile dire che tutti quei link non sono rotti, come pensavo, funzionano benissimo: però atterro su pagine, quelle sì, rotte: vuote. Dentro non c’è insomma nulla: una spiegazione, un documento, l’indicazione di cosa dovrei fare.
Preso dallo sconforto, sempre via Google, atterro infine su questo documento. E lì quasi mi metto a piangere perché capisco quanto una semplice operazione che, fatta chessò all’Esselunga in relazione alla mia raccolta Punti Fragola mi porterebbe via qualche minuto perché si potrebbe fare dall’app del supermercato, per comunicare con la mia cassa pensione perderò invece qualche ora di tempo: il documento va infatti stampato, compilato a penna, scansionato e inviato nuovamente all’Inpgi. Inutile porsi le domande se è il documento esatto, se è ancora in corso di validità, se è riservato agli iscritti di Inpgi 1 o Inpgi 2. Non avendolo trovato dal sito ma essendoci arrivato da Google non ci sono presentazioni di sorta.
L’INPGI SI TRASFORMA IN INPS MA LE COSE NON CAMBIANO
Ecco, per fortuna che ho fatto tutto questo, perché l’anagrafica per la nostra Cassa è davvero importante, visto che qualche giorno fa mi è arrivata via raccomandata (non pec, posta tradizionale, cartacea) una missiva nella quale mi avvertono che dovrò fornire spiegazioni su una mia posizione lavorativa passata con riferimento a un mio vecchissimo datore di lavoro.
Attenzione: questa volta il mittente è l’Inps perché l’Inpgi nel frattempo è confluita nell’Istituto previdenziale. Ma, si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio, e allora ecco che anzitutto mi invitano a presentarmi di persona nella loro sede romana (non propriamente dietro l’angolo, per chi vive come me in Lombardia) ma intanto pretendono:
contratto di lavoro;
lettera di dimissioni o licenziamento;
buste paga relative al periodo di lavoro svolto;
estratto conto comprovanti i pagamenti di stipendi e altri eventuali emolumenti;
Pensavo che solo le inchieste della magistratura scavassero tanto a fondo, ma almeno in quel caso il lavoro lo fanno i magistrati: qui si chiede a me di andare a scavare per loro tra documenti che risalgono anche a una dozzina di d’anni fa, che ovviamente non avevo (chi conserva gli estratti conto? Chi, soprattutto, se li fa ancora spedire? E ovviamente via home-banking lo storico è limitatissimo, quindi bisogna prendere appuntamento con la banca e farsi fare la documentazione ad hoc, ammesso e non concesso che quella banca dove si aveva il conto esista ancora), come non avevo buste paga tanto risalenti (in casa lo spazio è quello che è: non posso affittarmi un magazzino per soddisfare i capricci dell’Inps).
Ora, mi chiedo: siamo o non siamo uno Stato digitalizzato? E’ mai possibile che nel 2023 l’Inps non riesca nemmeno ad avere traccia di pagamenti che non sono mai avvenuti in denaro ‘cash’, ma solo sotto forma di bonifici e, dunque, tracciabilissimi? È mai possibile che non abbia un filo diretto con l’Agenzia delle Entrate o coi database interessati? È possibile che uno si ritrovi a perdere intere giornate di lavoro per cercare quei documenti, stamparli, firmarli, scansionarli, rispedirli indietro e presenziare pure alle loro “udienze” essenzialmente per firmare l’ennesimo foglio di carta? È possibile che io debba fare tutto quel lavoro al posto loro? La vicenda difatti non riguarda me personalmente ma un vecchio datore: se vogliono scavare su di lui facciano loro i dovuti accertamenti, perché dovrei produrre io le carte?
LE CARTE DI ITA AIRWAYS
Pare di sì, che in Italia tutto questo sia possibile: proprio per volare a Roma dall’Inps coi miei faldoni sotto il braccio ho acquistato un biglietto con Ita Airways, ho richiesto la fattura e anche lì ho scoperto che occorre stampare un modulo, compilarlo a biro e rispedirlo telematicamente, dando per scontato che tutti abbiano sempre dietro una stampante con scanner. Le stesse operazioni, ripeto, moltissimi gruppi, anche piccolini, anche startup, ormai consentono di farle comodamente via app, usando l’impronta digitale come autenticazione. Perché mi devo sobbarcare le spese di una stampante, inchiostro, toner e plichi di A4 per un servizio che dovrebbe essere ammodernato?
E dire che proprio qualche settimana fa mi era stato recapitato questo comunicato stampa: “ITA Airways opererà voli in connessione digitale da e per l’Italia a partire da quest’estate, grazie all’introduzione di Iris, l’innovativa tecnologia di collegamento dati sviluppata dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e da Inmarsat, che sarà disponibile nei cockpit di tutta la sua flotta, contribuendo alla modernizzazione del trasporto aereo in Europa”, Non so cosa sia un “volo in connessione digitale”, ma mi auguro che nei cockpit ci siano software più moderni di quelli riservati alla loro utenza…
Insomma, caro direttore, non so se tutto questo può valere un pezzo. Ma in effetti forse l’ho già scritto.
Ora vedi tu se pubblicarlo o meno.
Saluti