Quando si parla dei campioni dell’intelligenza artificiale (IA) il pensiero non va certo alle grandi aree desertiche della penisola arabica. Ma è proprio lì che due Paesi come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti stanno investendo miliardi per affermarsi come leader regionali della tecnologia più dirompente del momento. Ecco cosa scrive Bloomberg sulla corsa all’IA di due potenze cui non mancano le risorse per centrare i propri obiettivi.
Arabia ed Emirati vogliono l’autarchia
La corsa autarchica di Arabia Saudita ed Emirati non è aleatoria. Al contrario è normale che un Paese voglia sviluppare questa tecnologia all’interno dei propri confini per rendere più stretto il legame tra i servizi offerti e gli utenti locali.
Poi ci sono le ragioni geopolitiche e segnatamente la necessità di custodire i dati entro i propri server rendendoli soggetti alla legislazione locale e non a regole imposte dall’esterno.
Arabia first
Diventare leader dell’IA rientra tra gli obiettivi che il primo ministro nonché erede al trono saudita Mohammed bin Salman ha affidato a quella Vision 2030 che punta a diversificare le fonti di reddito di un regno ancora troppo dipendente dalla vendita di idrocarburi.
Di qui l’apertura di numerosi e grandi centri di ricerca che, con il supporto di più ministeri, hanno già prodotto modelli linguistici molto simili a quelli di OpenAI.
Emirati Go
Ma le attività fremono anche negli Emirati, dove pochi giorni fa si è presentato proprio il Ceo di OpenAI Sam Altman per discutere con funzionari governativi e investitori il modo in cui il settore privato può cooperare con lo Stato nella realizzazione di strutture di IA su larga scala.
Un fiume di danaro
I soldi non mancano. Il mese scorso Abu Dhabi ha lanciato un fondo di investimento ad hoc di cento miliardi, mentre i ricchissimi fondi sovrani sauditi sono in colloquio col colosso del venture capital Andreessen Horowitz per allocare almeno 40 miliardi.
Ritardo
Al momento i due Paesi scontano un certo ritardo rispetto all’Europa in materia di data center: alla fine del 2023 gli Emirati vantavano una capacità di 235 megawatt a fronte dei 123 dell’Arabia Saudita e dei 1.060 della Germania secondo i dati della società di ricerca DC Byte.
Per colmare la lacuna gli Emirati ora puntano a espandere la capacità di 343 megawatt mentre i sauditi lavorano per aggiungerne nei prossimi anni 467.
Investimenti dal ritorno sicuro
La posta in gioco è davvero alta: secondo le stime fornite in un rapporto PwC, entro il 2030 l’IA contribuirà per 96 miliardi di dollari all’economia degli Emirati e con 135 a quella dell’Arabia Saudita, piazzando i due Paesi dietro solo la Cina e l’America del Nord come regioni dove l’IA avrà il più grosso impatto sul Pil.
Emirati avanti tutta
Malgrado la minore stazza, sono gli Emirati a partire avvantaggiati, avendo cominciato a costruire data center più di vent’anni fa, al punto che oggi ne hanno ben 52 operativi.
A coordinare gli sforzi è un conglomerato tecnologico chiamato G42 che è presieduto dal consigliere per la sicurezza nazionale. G42 sta lavorando in tandem con la startup californiana Cerebras Systems per sviluppare chip personalizzati analoghi a quelli prodotti da Nvidia. Un altro partner di G42 è Microsoft, che fornisce i server.
Arabia un passo indietro, ma…
Nonostante vanti sul suo territorio 60 data center, l’Arabia Saudita può far valere una minore capacità di calcolo in un gap che sarà recuperato presto grazie alle partnership con giganti come Alibaba e Tencent.
L’ultima a entrare nella partita è stata Amazon che ha appena investito 10 miliardi nei data center sauditi.
Vantaggio e tallone d’Achille
Eppure quelle multinazionali che oggi stanno investendo a pioggia nel Paese sono le stesse che finirono in passato al centro delle polemiche delle organizzazioni civiche per la volontà di aderire ad un sistema locale di regole considerato lesivo dei diritti umani.
Non a caso Anthropic PBC ha rifiutato di partecipare alle attività nel regno a causa di questa stessa preoccupazione.
Ostacoli tecnici
C’è però un problema connaturato al territorio stesso in cui si stanno sviluppando questi progetti. I server infatti usano parecchia energia, che porta spesso a surriscaldamenti delle attrezzature causando addirittura blackout e danni.
Per questo motivo si stanno tentando approcci nuovi come il raffreddamento liquido, che interviene direttamente sulle attrezzature senza richiedere un raffreddamento dell’area circostante.
Ma le temperature roventi di queste latitudini non hanno scoraggiato Equinix a realizzare una struttura appena inaugurata in un sito in cui il termometro d’estate raggiunge i 110 gradi Fahrenheit. La compagnia ha già cominciato a lavorare alla realizzazione di un secondo centro poco distante.