È stato appena pubblicato il testo delle Nuove Indicazioni Nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione (cioè, primaria e secondaria di primo grado). Si tratta di una revisione di quel documento, originariamente rilasciato nel 2012 dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con il DM 254 del 16/nov/2012, che rappresenta il quadro di riferimento per la definizione dello specifico curricolo che costituisce l’offerta educativa di ogni scuola.
Lascio ad altri commentatori l’analisi generale sull’impostazione e struttura di questa revisione, sulla quale si apre adesso una fase di consultazione con associazioni professionali e disciplinari, con associazioni di genitori e di studenti e con organizzazioni sindacali della scuola.
Mi concentro in questo articolo solo sul tema dell’insegnamento dell’informatica, che finalmente entra come soggetto di studio a partire dai primi anni di scuola. È un obiettivo per il quale mi sto battendo ormai da più di dieci anni, con il supporto di validissimi colleghi sia in Italia, nel Laboratorio Nazionale CINI “Informatica e Scuola” (di cui sono il Direttore), sia in Europa, nella coalizione internazionale Informatics for All (che ho contributo a fondare quando ero presidente di Informatics Europe).
In Italia avevamo preparato con il Laboratorio, già dal 2017, una proposta didattica che è stata abbastanza fedelmente accolta da queste nuove indicazioni. In Europa abbiamo definito nel 2022 un quadro di riferimento per l’insegnamento dell’informatica nella scuola che ha giocato un ruolo molto importante nel percorso che ha portato alla Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea sull’insegnamento dell’informatica nella scuola.
L’informatica è presente in queste nuove indicazioni “con due cappelli”, dal momento che il suo inserimento come soggetto scientifico autonomo, come accade in molti altri paesi in tutto il mondo, avrebbe richiesto un percorso normativo differente e più arduo da percorrere. Sono state introdotte competenze di Informatica sia nell’ambito della Matematica sia nell’ambito della Tecnologia, in modo culturalmente compatibile con ognuna di queste due discipline. È corretto quindi osservare che si tratta di un momento storico, dal momento che sono ormai parecchi decenni che in Italia – ma anche in Europa – si sente parlare solo di competenze digitali declinate in senso operativo (ricordate l’ECDL, la famigerata patente europea del computer?), nell’incomprensione generale da parte di chi dovrebbe avere gli strumenti culturali per capire come si sta evolvendo la società e guidare il Paese lungo questo percorso.
Tutto questo ha portato nel migliore dei casi a comprare e usare tecnologia e servizi informatici realizzati e gestiti altrove, impedendo al nostro Paese di sviluppare competenze sempre più strategiche in una società che è sempre più digitale, e nella quale la differenza viene fatta, molto più che dagli strumenti usati, dalla qualità della formazione che le persone hanno.
In molti casi, purtroppo, confondendo il fine con i mezzi, sono stati introdotti dispositivi digitali nelle scuole, tendenza che è esplosa negli anni della pandemia, pensando che questa fosse la strada giusta e ignorando chi invitava alla cautela nel percorrerla. Finché, nel 2024, giustizia è stata fatta dal rapporto UNESCO dedicato a quella che è stata chiamata “la tragedia dell’istruzione digitale”.
La vera conoscenza di concetti, teorie e metodi dell’informatica è un passo assolutamente necessario per avere la possibilità di scegliere autonomamente la propria direzione di sviluppo, senza dipendere da sistemi e conoscenze che non si posseggono e senza essere soggetti alla sorveglianza di chi li gestisce. Ne ho parlato in dettaglio nel mio libro, intitolato appunto La rivoluzione informatica: conoscenza, consapevolezza e potere nella società digitale, presentando sia i concetti fondamentali della disciplina, sia le conseguenze che i suoi strumenti tecnologici determinano sulla società. Parlare di trasformazione digitale, come si sta ossessivamente facendo da un po’ di anni e pensare di realizzarla acquistando tecnologia o corsi di formazione sul suo utilizzo, senza investire nell’istruzione scolastica e universitaria, è velleitario.
Con queste nuove indicazioni abbiamo la possibilità di incamminarci finalmente su un percorso virtuoso, che faccia sì che tutti i cittadini conoscano i concetti scientifici sulla base dei quali funziona il mondo digitale intorno a noi. Acquisendo una conoscenza di base di questa materia aumenteranno le possibilità che più ragazzi, e soprattutto più ragazze, la scelgano come materia dei loro studi tecnici o universitari. E se non abbiamo più studenti nelle università in questi settori, i ricercatori per sviluppare i sistemi informatici di avanguardia, tipo quelli dell’intelligenza artificiale di cui tutti parlano in questi anni, non potremo mai trovarli.
Il primo, fondamentale, passo è quindi stato fatto, ma il cammino sarà lungo e sarà importantissimo fare tesoro dell’esperienza di altri Paesi che l’hanno intrapreso prima di noi. In particolare il Regno Unito, che ha introdotto la formazione obbligatoria nell’informatica fin dal 2014. Dopo questa riforma, si è visto nel 2017 che le indicazioni curricolari rimanevano in gran parte lettera morta a causa dell’assenza di docenti adeguatamente preparati. Pertanto, il governo britannico ha stanziato nel novembre 2018 un fondo di 82 milioni di sterline per finanziare per 4 anni un istituto per la formazione dei docenti all’insegnamento dell’informatica nella scuola. È stato così istituito nel 2019 il National Center for Computing Education, che ha sviluppato materiali didattici e corsi di formazione per gli insegnanti per tutti i livelli di scuola, e che è stato successivamente sempre rifinanziato, l’ultima volta proprio nel 2025, nonostante i tagli alle spese nel settore pubblico.
Noi abbiamo avuto la possibilità dei fondi del PNRR che però, per i tanti vincoli organizzativi e temporali, stanno venendo spesi in un modo che non lascerà, nella sostanza, una classe insegnante in grado di implementare adeguatamente queste indicazioni nazionali.
Non sarà quindi un compito semplice e servirà una forte volontà politica, che auspico bipartisan nell’interesse strategico del Paese. Infatti, diversamente da quanto accade per ogni altra materia insegnata nella scuola, tranne il ristretto numero di docenti che insegna informatica in pochissimi indirizzi della scuola secondaria superiore, nessuno degli insegnanti ha mai studiato informatica nel corso della sua carriera, né scolastica né universitaria. Non vi è quindi un substrato culturale largamente diffuso su cui far leva per la formazione professionale come avviene, ad esempio, per la matematica, insegnata – ad esempio – nella scuola primaria da docenti che, pur non avendo una specifica formazione professionale sulla disciplina, l’hanno comunque studiata per tutti i 13 anni del loro percorso scolastico.
Confido che questa volontà potrà essere trovata. La comunità accademica degli informatici, che in modo informale porta ormai da 11 anni le basi dell’informatica in quasi tutte le scuole italiane attraverso il progetto Programma il Futuro, è pronta a collaborare.
(I lettori interessati potranno dialogare con l’autore, a partire dal terzo giorno successivo alla pubblicazione, su questo blog interdisciplinare)