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Scuola Digitale

Informatica nella scuola: dall’Europa un segnale forte e chiaro

Ecco cosa ha proposto la Commissione Europea in materia di insegnamento dell'Informatica nella scuola. L'intervento del professore Enrico Nardelli dell’università di Roma Tor Vergata, presidente di Informatics Europe e direttore del Laboratorio Nazionale “Informatica e Scuola” del CINI

 

Da molto tempo ormai mi spendo in Italia e in Europa sul tema dell’importanza dell’insegnamento dell’informatica nella scuola. Qui da noi, attraverso il progetto Programma il Futuro, che porta nelle scuole di tutti i livelli i princìpi scientifici dell’informatica, arrivato quest’anno al nono anno di realizzazione. Sul continente, con l’attività condotta attraverso le associazioni scientifiche del settore, culminate nella costituzione della coalizione Informatics for All. Più recentemente, sto provando a diffondere la consapevolezza su questo tema anche a livello del grande pubblico con il mio libro La rivoluzione informatica: conoscenza, consapevolezza e potere nella società digitale.

Ritengo infatti che esattamente come il processo educativo delle persone è mutato, con il passare da una società agricola ad una società industriale, introducendo nell’istruzione obbligatoria elementi di quelle scienze (fisica, biologia, chimica, …) che sono alla base di ogni macchina industriale, così nel passaggio dalla società industriale alla società digitale sia necessario aggiungere nell’istruzione obbligatoria lo studio dell’informatica, indispensabile per comprendere le macchine digitali.

Purtroppo in Europa negli ultimi venti/trenta anni ha regnato pressoché indisturbato il mito delle “abilità digitali”,  le digital skills oggetto di decine di documenti dell’Unione Europea.

All’inizio degli anni ’90, con l’esplosione della tecnologia informatica resa accessibile a tutti dalla diffusione del personal computer si è battuto in modo ossessivo il tasto della “patente europea del calcolatore” (European Computer Driving Licence) pensando che sarebbe bastato “saper guidare” un computer per essere digitalmente competenti. Una miopia: come se nell’Ottocento avessimo pensato che sarebbe bastato insegnare a tutti a guidare automobili e motociclette per industrializzare un Paese. Saper usare dispositivi e sistemi digitali per facilitare l’insegnamento o il lavoro non vuol dire conoscere la scienza alla base della loro progettazione e realizzazione.

Negli anni 2000, poi, sono state introdotte le “competenze digitali” tra le competenze chiave per l’apprendimento permanente (Key Competences for Lifelong Learning), di nuovo articolandole sostanzialmente in termini di abilità operative, quando invece sarebbe stato indispensabile aggiungere alle competenze scientifiche tradizionali, necessarie per comprendere il mondo fisico, quelle informatiche, essenziali per comprendere il mondo digitale.

Infine, negli ultimi anni, con le diffusione a tutti i livelli dei dispositivi digitali è nato il grande equivoco della “Digital Education”, cioè dell’insegnamento mediante infrastrutture basate sulle tecnologie digitali. Si è pensato che questo approccio alla scuola, cioè fare lezione usando sistemi e prodotti digitali, avrebbe prodotto cittadini digitalmente competenti.

Niente di più sbagliato. Prima di tutto perché non è detto che usare le tecnologie digitali migliori necessariamente l’insegnamento, poi perché si lega l’insegnamento alla disponibilità di dispositivi che spesso diventano determinanti, nel senso che non sono facilmente sostituibili. Un insegnante che decide di cambiare libro di testo con il passare degli anni non sarà normalmente vincolato a scegliere una stessa casa editrice. Se invece per l’insegnamento è stata usata una specifica piattaforma tecnologica ecco che il cambiamento diventa notevolmente più difficile. Si tratta del ben noto fenomeno del vendor lock-in, temuto da tutti coloro che hanno a cuore la capacità di un’azienda di evolvere e cambiare in risposta alle sfide del mercato e della competizione.

Un ulteriore motivo di equivoco sulla “Digital Education” è che questa produce utenti/consumatori di tecnologie e prodotti digitali e non creatori degli stessi. Per questo scopo serve insegnare la disciplina scientifica alla base della progettazione e realizzazione delle stesse. Esattamente nello stesso modo che saper guidare un’automobile o usare una lavatrice non produce un ingegnere, né saper pesare la pasta o cucinarla produce un fisico o un chimico. Su questo aspetto l’Unione Europea si è baloccata un po’ troppo nella direzione sbagliata.

Ad aprile 2023 è stata pubblicata dalla Commissione Europea una proposta di Raccomandazione al Consiglio dell’Unione Europea (COM(2023) 206 final) che manda un segnale forte e chiaro in tema di insegnamento dell’informatica nella scuola. Vedremo subito cosa contiene. Voglio però prima sottolineare che nel relativo documento tecnico di accompagnamento c’è un esplicito riconoscimento dell’errore strategico commesso. Vi si dice infatti che mentre  «è riconosciuta a livello internazionale l’esistenza di una tendenza emergente e marcata nei sistemi educativi verso l’inclusione dell’Informatica come parte dei curriculi nazionali e come parte dell’istruzione per tutti i cittadini» ricordando che «l’Informatica è progressivamente diventata un’importante competenza fondamentale a fianco delle tre-R: lettuRa, scrittuRa, aRitmetica» ciò che è accaduto sul nostro continente è che «per un po’ di tempo, la maggior parte dei sistemi educativi europei sono rimasti in ritardo su questa tendenza, focalizzandosi più sull’alfabetizzazione digitale e sulla digitalizzazione dell’insegnamento». Infine ammette che «Il limite maggiore di questo approccio è che, nonostante fornisca agli studenti i mezzi per usare le tecnologie digitali, non li equipaggia adeguatamente con le capacità di creare, controllare e sviluppare i contenuti digitali».

La proposta di Raccomandazione al Consiglio è molto esplicita in tema di insegnamento dell’informatica.

Il “considerando” 19 infatti afferma «A prescindere dalle scelte curricolari, è necessario promuovere un’istruzione di qualità nell’informatica, coadiuvata da metodi di insegnamento idonei all’età e alla fase di sviluppo, da risorse di qualità, da rappresentanza e diffusione equilibrate dal punto di vista del genere, nonché da una valutazione adeguata», mentre il “considerando” 26 ricorda «… i problemi che quasi tutti gli Stati membri devono affrontare per l’assunzione, il mantenimento in servizio e la preparazione degli insegnanti, in particolare nell’informatica (per l’istruzione primaria/secondaria …) o in altri settori digitali specifici/avanzati (per l’istruzione superiore)».

Al punto 4 delle raccomandazioni si richiede agli Stati Membri di «sostenere un’istruzione di alta qualità in informatica a scuola », in particolare garantendo che «fin dall’inizio dell’istruzione obbligatoria … tutti gli studenti abbiano l’opportunità di sviluppare le proprie competenze digitali attraverso l’esposizione agli elementi fondamentali dell’informatica » e prendendo in considerazione  «la possibilità di introdurre l’informatica come materia distinta, per fornire un’offerta più mirata che abbia obiettivi chiari in termini di istruzione e formazione, ore di lezione e valutazione strutturata». Viene anche sottolineata l’importanza «provvedere affinché l’insegnamento e l’apprendimento dell’informatica siano sostenuti da docenti qualificati e specializzati» e di «promuovere la diversità e una diffusione equilibrata dal punto di vista del genere e ridurre eventuali stereotipi nell’insegnamento e nell’apprendimento dell’informatica».

Il punto 5 è dedicato al ruolo fondamentale che in questo processo devono svolgere i docenti, raccomandando agli Stati membri di «istituire e migliorare le misure per l’assunzione e la formazione di docenti specializzati nel settore dell’informatica». Ricordiamo che nel Regno Unito, che aveva introdotto nell’anno scolastico 2014-15 un curriculum di informatica obbligatorio in tutte le scuole a partire dalla prima elementare, si sono accorti dopo qualche anno che la situazione era addirittura peggiorata per l’assenza di un congruo numero di docenti adeguatamente preparati.

Si tratta quindi di una svolta epocale, che speriamo serva ad avviare finalmente in tutti i Paesi Europei una seria attività di formazione sull’informatica nella scuola. Ricordo che l’istruzione è una materia di competenza degli Stati Membri, per cui il ruolo dell’Unione Europea rimane sussidiario. Fortunatamente, almeno in Italia, il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha già da tempo dichiarato di voler rafforzare le preparazione scolastica nelle materie scientifiche. Dal momento che questa proposta della Commissione indica chiaramente l’informatica come la materia scientifica alla base della preparazione per la società digitale, confidiamo che ne risulti un aggiustamento di rotta rispetto a quanto finora messo in cantiere in tale settore, anche nell’ambito del PNRR, dove si è continuato a puntare sulle competenze operative di utilizzo della tecnologia digitale

Come tutti i processi educativi, non è qualcosa che possa accadere in breve tempo, ma è in gioco la possibilità di essere attori di primo piano nello sviluppo della società digitale. La nostra comunità accademica di informatici e ingegneri informatici è pronta, attraverso il Laboratorio Nazionale CINI “Informatica e Scuola” da me diretto, ad accompagnare questo processo. Quest’anno svolgeremo a ottobre a Bari il primo convegno nazionale sulla didattica dell’informatica (ITADINFO), con la partecipazione di docenti della scuola e ricercatori universitari.

Sarà adesso necessaria una forte volontà politica, accompagnata da un accordo bipartisan indispensabile per supportare un cambiamento che richiede tempi almeno decennali per andare a regime, per assicurare ai nostri figli la possibilità di governare il loro futuro digitale

(I lettori interessati potranno dialogare con l’autore, a partire dal terzo giorno successivo alla pubblicazione, su questo blog interdisciplinare)

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