Le ennesime cattive notizie che vengono da una delle principali aziende della filiera europea della microelettronica, l’italofrancese STM, di cui ho già spesso avuto occasione di scrivere, e la discussione attorno al caso Nexperia nei Paesi Bassi, con le sue implicazioni politiche ed economiche, possono farci riflettere su un recente fallimento delle politiche industriali europeo, il cosiddetto EU Chips Act, e sul percorso futuro.
Dopo i giudizi tutt’altro che generosi della European Court of Auditors negli scorsi mesi, in una realtà di mercato difficile, la Commissione Europea è impegnata in un’attività di valutazione, anche su impulso degli Stati membri, per capire come migliorare qualcosa che di certo non ha mantenuto le sue promesse.
Come per tutti i programmi che si svolgono in un mondo caotico e con vari rischi, la prudenza è sempre necessaria. Quando si “dichiara vittoria” prematuramente, come per esempio ha fatto l’ex commissario Thierry Breton un anno fa esaltando i “67 progetti di fabbriche di semiconduttori in Europa” di cui dava merito alla propria azione, si commettono sempre leggerezze.
Se guardiamo alle prospettive delle principali aziende di macchinari per la produzione di semiconduttori, che danno un’idea delle dinamiche di mercato, vediamo chiaramente come il 20% della quota di mercato globale dell’Europa sia un obiettivo irraggiungibile e miope. Nelle prospettive della stessa azienda europea ASML, la difficile sostituzione di buona parte dei ricavi cinesi potrebbe concretamente giungere solo da altre geografie asiatiche e dagli Stati Uniti, con un contributo europeo irrisorio.
Il tema dei semiconduttori è così centrale per gli equilibri tecnologici, economici e politici globali che, se l’UE volesse fare sul serio, dovrebbe fare un passo indietro alle proprie strutture burocratiche e ai Commissari, affidando la questione a una figura più competente, almeno per il vertice. Come ho proposto a gennaio, penso che l’ex CEO di ASML, Peter Wennink, sia la persona giusta. Questo manager ha accompagnato la crescita del campione tecnologico della filiera e si è espresso con grande lucidità sul ritardo accumulato dagli europei nella competizione tecnologica. E allora, perché mai deve stare solo e soltanto felicemente parcheggiato come Presidente di un grande gruppo, Heineken, che ha senz’altro reso Ichnusa, Messina e altre birre dei marchi ben più riconoscibili? Non sarebbe utile chiedere il suo contributo a una partita importante, e dargli veramente potere per portarla avanti? Certo, è più facile a dirsi che a farsi.
Un altro elemento essenziale della “guerra dei chip” che va chiaramente ripensato per gli europei è il ruolo dei prodotti cosiddetti “maturi”. Nei loro usi industriali e militari hanno un’importanza cruciale per l’ecosistema europeo, che va compresa meglio invece di limitarsi a riprendere i programmi statunitensi, che viaggiano su altre priorità.
Inoltre, un altro punto messo in luce finora dal caso Nexperia è come le aziende automobilistiche europee sembrino aver praticato l’esigenza della diversificazione e delle riserve strategiche solo a chiacchiere, in qualche discorso e in qualche convegno, e non nel concreto.
Nel mondo del capitalismo politico, per chi ha perso vari treni tecnologici, come gli europei, non esiste una bacchetta magica che da un giorno all’altro possa renderti invulnerabile. Se i tuoi attori industriali non hanno riserve, se non pagano il costo di un po’ di diversificazione, sei un attore esposto e disarmato. Non hai lo spazio per costruire una strategia e per esercitare un ruolo.






