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Il porno on line inquina più del Belgio. Report (serissimo) di un centro studi francese

L'articolo di Umberto Rapetto

 

La trasmissione e la fruizione di filmati pornografici genera almeno 300 milioni di tonnellate di biossido di carbonio ogni anno, pari a circa un punto percentuale della produzione mondiale di CO2.

In termini pratici l’hardcore inquina nella medesima misura con cui possono farlo le “normali” emissioni di Paesi come Belgio, Bangladesh e Nigeria.

La notizia – apparentemente bizzarra – arriva dalla Francia, dove il think thank “The Shift Project” ha tra l’altro rilevato che il quattro per cento del gas serra è generato dalle tecnologie digitali con una prospettiva di crescita che potrebbe raddoppiarne il quantitativo entro il 2025.

Il centro studi d’oltralpe ha focalizzato l’attenzione sulle emissioni di CO2 determinato dai video online, basando le proprie stime sull’analisi e sulla rielaborazione delle informazioni raccolte e pubblicate da Cisco e Sandvine in ordine al traffico di sequenze filmate su Internet.

I dati hanno permesso di valutare quanta energia elettrica viene consumata per il “trasporto” telematico e per il successivo “consumo” sui diversi dispositivi (dai telefonini ai tablet, ai computer, alle smart tv) e di lì è scattato il computo proporzionale che ha portato alla sorprendente quantificazione.

Va tenuto in considerazione che il traffico di video online rappresenta il 60 per cento dei flussi mondiali di trasmissione dati del 2018 ed è quantificabile in 1 zettabyte (unità di misura equivalente a mille miliardi di gigabyte). E se la cifra sembra piccola, occorre segnalare che sotto la voce “online video” non sono incluse le videochiamate eseguite con Skype o altri sistemi di comunicazione, le esibizioni delle cosiddette “cam-girls” e neanche la telemedicina (tre contesti che totalizzano un altro 20 per cento del trasferimento internazionale di dati).

Lo spettro per gli ambientalisti è rappresentato dal passaggio a sempre più evoluti livelli di qualità delle immagini e già c’è chi pensa con terrore all’incremento esponenziale di emissioni con l’avvento di prodotti video con risoluzione 8K.

Il report francese accenna con preoccupazione anche al varo di servizi di “game streaming” (piattaforme di intrattenimento ludico come, ad esempio, Stadia realizzato da Google) ma non approfondisce il tema con un esame del relativo impatto.

Chi si occupa di sostenibilità delle tecnologie dovrebbe cominciare a fare qualche ponderata considerazione.

All’orizzonte la blockchain e le cryptovalute, con il loro fin troppo evidente volume di operazioni di calcolo, prospettano uno smisurato aumento di energia elettrica per il funzionamento dei grandi elaboratori di dati e per il raffreddamento degli ambienti in cui sono installati.

Altrove già si parla di “digital sobriety”, che significa acquistare apparati meno potenti, sostituirli con minor frequenza, evitando il più possibile ogni attività ad alto consumo.

Forse dalle nostre parti – subissati dalle promozioni di prodotti e servizi sempre a più elevate prestazioni – dovremmo iniziare a riflettere senza aspettare che arrivi Greta Thunberg o qualche altra ragazzina a spiegarci quali danni irreversibili stiamo continuando a fare.

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