Che il Piracy Shield potesse, se non usato con la dovuta cautela, creare problemi era stato detto fin da subito, non da chi lo sostiene ma da diversi esperti di Web e dintorni. E in effetti, dopo che la piattaforma nazionale che mira a oscurare in automatico i siti che trasmettono illegalmente contenuti in streaming (donata dalla Lega calcio Serie A all’Agcom) lo scorso marzo aveva colpito e affondato siti leciti dietro un IP di Cloudflare (uno dei più grandi operatori cloud e Cdn ovvero Content Delivery Network, rete di computer dedicati alla trasmissione dei flussi di streaming), ora ha alzato il tiro, sparando direttamente in direzione di Google.
Per la precisione, sabato sera, mentre lo streaming regolare mandava in onda la Serie A e dunque sul ponte di comando della piattaforma anti pezzotto che pattuglia il mare magnum di Internet a caccia di pirati fervevano i lavori per arpionare i siti illegali nel più breve tempo possibile, qualcosa deve essere andato storto e, poco prima dell’ora di cena, alcune fiocine della piattaforma di Stato hanno raggiunto Google Drive e YouTube.
COME FUNZIONA IL PIRACY SHIELD
Prima di procedere può essere utile comprendere ciò che avviene nella cabina di regia di questa potente macchina che può oscurare a livello nazionale qualsiasi tipo di sito. Di fatto tutto parte dalla Serie A o dai broadcaster (ovvero Sky, Dazn, insomma coloro che pagano fior di milioni per avere i diritti di trasmettere gli eventi sportivi e dunque hanno interesse ad abbattere i malandrini) che segnalano ad Agcom i siti che trasmettono illegalmente i loro contenuti.
LA FRETTA È CATTIVA CONSIGLIERA?
Questa segnalazione viene inoltrata ai provider internet (dunque a Tim, Wind, Vodafone, Fastweb, ecc) che devono entro 30 minuti procedere con l’inibizione di quegli indirizzi. Non ci sono attività di verifica, anche perché non ce ne sarebbe il tempo: una partita dura 90 minuti, per evitare il maggior danno economico dalla segnalazione allo switch off come s’è visto deve passare appena mezz’ora. Attendere, è la ratio dietro tutta questa fretta, sarebbe significare arrivare solo dopo il fischio finale.
Che la fretta sia cattiva consigliera, però, lo dicono da sempre tutte le nonne. Tanto più se si maneggia quel groviglio di siti e indirizzi forieri di miliardi di dati che è il World Wide Web. Finisce così che spesso il Piracy Shield sembri agire alla cieca, come già era accaduto quando tirò giù siti leciti dietro un IP di Cloudflare e come ha clamorosamente dimostrato nel weekend speronando Google Drive e la controllata YouTube.
COME MAI IL PIRACY SHIELD HA BOMBARDATO GOOGLE
Per fortuna che a quell’ora uffici privati e pubblici erano chiusi. Fosse successo durante un posticipo del lunedì, probabilmente i disagi sarebbero stati maggiori visto che Google Drive rappresenta uno dei servizi per lo stoccaggio di dati in cloud maggiormente usati.
E per fortuna anche che esiste una lista di almeno 11mila indirizzi (dicono da Wired) che non possono essere abbattuti per la sicurezza del Paese, detta white list, o a ogni match di Serie A tutta la nazione probabilmente rischierebbe grosso.
COS’È SUCCESSO E CHI HA SBAGLIATO?
Come s’è visto, nella catena di comando i broadcaster non hanno colpa: devono agire appena fioccano le segnalazioni. Allora lo sbaglio è tutto, con ogni probabilità, localizzato tra i segnalatori, ovvero nei team di super esperti messi in piedi dalla Serie A o dalle emittenti degli eventi sportivi (Sky e Dazn). In attesa che l’Agcom, che ha in mano le segnalazioni, comunichi da chi sia partita la segnalazione che ha comportato lo switch off, Repubblica stamani riporta che il ticket sarebbe stato aperto da Dazn.
Due le possibilità: o c’è stato un errore umano bello grosso o, si ipotizza, i pirati hanno usato proprio Google Drive per stoccarvi i link ai siti pirati che sarebbero stati trovati dai team assoldati dalle emittenti e segnalati senza però compiere un’operazione chirurgica, ma tirando giù tutta l’infrastruttura compreso YouTube.
Anche in quel caso, comunque, la colpa sarebbe di un macroscopico fallo da cartellino rosso del segnalatore. Tant’è che l’informatico Stefano Quintarelli, in un dialogo con Matteo Flora, fa notare: “C’era qualche cretino che commentava i pezzi del New York Times mettendo link illegali ma non si tira giù il giornale per quello”.
Escluso dalla stessa startup romana che ne ha curato lo sviluppo il malfunzionamento tecnico. A dirlo è proprio la Srl capitolina in una nota: “contrariamente a quanto riportato da alcuni mezzi di informazione – si legge – la piattaforma ha funzionato perfettamente dal punto di vista tecnico, anche nelle giornate del 19 e 20 ottobre 2024”. Insomma, colpa di chi l’ha usata.
CAPITANIO (AGCOM) ATTACCA GOOGLE
In ogni caso, oltre al danno la beffa perché lo sblocco sarebbe avvenuto solo attorno a mezzanotte, ben cinque ore dopo l’oscuramento errato. Il commissario di Agcom Massimiliano Capitanio, intervenuto a una diretta Web di Matteo Flora, ha ribadito che chi sbaglia paga (“non si fanno segnalazioni à la carlona”), potendo essere chiamato a rispondere di eventuali danni “civili e penali”.
Poi però quasi a giustificare quanto accaduto, Capitanio sferra un attacco a Google: “Purtroppo non posso usare parole come corresponsabilità, connivenza o complicità con i pirati, ma Google e Cloudflare dovrebbero collaborare di più. Hanno deciso di non iscriversi alla piattaforma, quindi Google non ha potuto comunicare i propri domini alla white list”.
Infine, sibila: “Vogliamo negare che se cerco “streaming” sullo store di Google mi compaiono almeno venti applicazioni che violano le stesse policy di Google? Perché queste app per la visione pirata sopravvivono sul Google Play? E perché Google, dopo averle eliminate dallo store, non le disinstalla dai telefoni degli utenti? Perché non lo fa? Non voglio pensare compaiano in bellissima vetrina per i business milionari delle pubblicità”.
La sensazione è che nel Web a ogni partita vada in scena una caracollante sfida tra guardie e ladri, con le prime che, spinte dalla necessità di agire in fretta, sparano alla rinfusa tra la folla, colpendo chiunque abbia la sfortuna di finire a tiro.