Qualche tizio in mutande, in posa come nemmeno su una app di dating, poi foto dello spazio. È Internet bellezza, una galassia priva di centro – e baricentro, dunque ordine ed equilibrio – che ci sommerge coi suoi contenuti in modo del tutto casuale. La redazione di Start ha voluto testare, da estranea, il social del momento – che ha appena superato i 20 milioni di utenti – e l’impatto è stato senz’altro molto diverso da quello che ci saremmo attesi.
NEL BENE O NEL MALE, BLUESKY È DIVERSO
Bisogna fare qualche premessa: Bluesky è stato creato per essere cross-posting, quindi in futuro potrebbe inglobare le discussioni da qualunque social, almeno sulla carta. E, sempre in teoria, al momento non sembra affannarsi nel tentativo di trattenere l’utente – almeno quello che non si iscrive: registrandosi e iniziando a popolare la rassegna dei propri feed, la piattaforma inizierà a imparare qualcosa in più sul nostro conto, dunque chissà.
UN SALTO NEL PASSATO
Scorrere la rassegna dei post che Bluesky permette di sbirciare senza registrarsi (notare bene: Meta e X chiudono i loro contenuti ai non iscritti, tanto li custodiscono gelosamente) equivale a fare un salto nel passato per atterrare agli albori di Facebook, quando il social di Menlo Park vomitava addosso a ciascun utente, in modo del tutto casuale, ciò che scrivevano i suoi contatti.
Si passava così in rapida successione dal vicino di casa che pubblicava ossessivamente foto dell’auto appena acquistata alle interminabili rassegne di piatti, menu, vacanze e video di famiglia di tizi che non vedevamo da una vita, di cui non ci fregava assolutamente nulla ma che avevamo comunque tratto a bordo dato che sembrava scortese rifiutare la richiesta di amicizia.
Ogni tanto, là in mezzo, si poteva trovare qualcosa scritto dalla ragazza dell’università che ci piaceva, un pensiero di un caro amico che frequentavamo anche nella vita reale o un video girato da un parente. Qualcosa insomma che interessasse realmente, in una rassegna delle vanità per lo più fine a se stessa.
TUTTA COLPA DELL’ALGORITMO
Poi sono arrivati gli algoritmi sempre più affinati che silenziosamente con le loro zampette hanno iniziato a tessere una rete attorno agli utenti che li avviluppasse sempre più. Gli esperti le chiamano “bolle”.
I post degli amici virtuali con cui non ci si connetteva mai sono velocemente sbiaditi, spariti di scena, finiti ai bordi di una realtà priva di punti geografici ma che iniziava ad avere un centro rappresentato da un utente sempre più egocentrico. Quasi ci si scordava di avere in rubrica le persone con le quali non si interagiva mai: Facebook aveva iniziato a nasconderci i loro contenuti. E lo scroll della pagina è stato presto monopolizzato da pochi contatti: quelli sui cui post si cliccava per commentare o apporre l’imprimatur del pollicione blu. I social, all’improvviso, sono diventati apparentemente più piccoli, frequentati sempre dai soliti.
IL VERO SCOPO DI OGNI PIATTAFORMA: TRATTENERCI
L’algoritmo comanda ovunque: per esempio su Google News, dove propone una rassegna di notizie stilata sulla base delle ricerche Web; su YouTube con il software che diligentemente apparecchia in tavola decine di video sulla falsariga dell’ultimo appena visto; su LinkedIn, su X (addirittura si dice che Elon Musk dopo aver acquistato Twitter lo abbia modificato a propria immagine e somiglianza per dare massima visibilità ai propri cinguettii, anche tra gli utenti che non lo seguono) e naturalmente su Meta.
L’ALGORITMO DÀ, L’ALGORITMO TOGLIE
Durante la campagna elettorale per le europee non pochi politici hanno usato i propri social per ricordare ai follower che di default Facebook e Instagram riducono i post politici e che andavano quindi attivati manualmente, giochicchiando con le impostazioni di sistema che nessuno va mai a guardare.
I politici sono in buona compagnia. Le prime a essere state “fregate” dall’algoritmo sono state le testate giornalistiche, con il loro spam quotidiano fatto di link che puntavano al di fuori della piattaforma. Dal punto di vista di Menlo Park e dintorni una emorragia da tappare il prima possibile. Se l’algoritmo vede un link, con ogni probabilità veicolerà meno la diffusione di quel post. In tutta risposta hanno iniziato a proliferare gli interventi che puntualmente si chiudono con la dicitura “link al primo commento”. La competizione uomo-algoritmo non deve vederci sconfitti. Per lo meno ci si prova a resistere.
E BLUESKY COME SI MUOVE?
Apparentemente Bluesky è privo di algoritmi maliziosi. Ma non privo di algoritmi. Quella miscellanea senza capo né coda di uomini in boxer e fotografie spaziali, post in inglese, video in francese e, di tanto in tanto, un intervento italiano che ci ha accolti, è comunque ordinata da un algoritmo. Impossibile comprenderne la ratio.
Apparentemente sembra una vetrina fatta da un commerciante che non ha alcuna voglia di vendere. Non c’è una gerarchia delle notizie, non c’è nulla che sembri incastrarsi coi nostri gusti. Si viene sballottati tra tanti contenuti random abbandonati nel mare magnum dell’etere come messaggi in bottiglia.
QUELLA SENSAZIONE DI TROVARSI CIRCONDATI DA ESTRANEI
Non è facile vivere al di fuori della propria bolla online. Siamo così assuefatti ai recinti che ciascuna piattaforma ci ha eretto attorno, al fine di rendere i social comodi e ospitali, praticamente familiari, (aumentando il tempo di permanenza dell’utente aumentano pure i guadagni in Adv) che atterrare in Bluesky per la prima volta ci dà l’impressione, tutt’altro che rassicurante, di entrare in una stanza, la sala d’aspetto di un medico o la segreteria di una università, in cui non conosciamo nessuno ma tutti hanno smesso di fare ciò in cui erano intenti per fissarci. Di colpo il Web è ritornato un posto più grande, popolato da perfetti estranei che non hanno nulla in comune con noi e che quest’oggi hanno fatto una capatina sul web solo per regalarci la fotografia delle loro mutande. Più grande, non necessariamente più interessante.