Skip to content

meta

Il gran ritorno alla politica di Meta passa anche da Instagram

Instagram e Threads di Meta abbandonano il filtro che impediva ai contenuti politici di finire nello scroll degli utenti, spesso giovanissimi. Una novità che segue di poche ore la giravolta sul fact-checking annunciata da Zuckerberg.

Cosa fatta capo ha. Lo dicevano nel Medioevo, vale ancora per le Big Tech americane del Web del Terzo millennio. All’indomani della decisione di Mark Zuckerberg di cestinare il fact-checking (che per la verità non aveva mai realmente arginato il fenomeno delle fake news, tra le cantonate che prendeva e quelle che si lasciava sfuggire, come ciascuno di noi ha potuto constatare personalmente negli anni), Adam Mosseri, capo delle piattaforme social di Meta, è apparso anch’egli in video a stregua di emulo del proprio Ceo per annunciare un’altra piccola-grande rivoluzione in casa Meta: sarà abbandonato il blocco predefinito sulle raccomandazioni di contenuti politici da account non seguiti dagli utenti.

META ABBRACCIA I POLITICI SU INSTAGRAM

Nascosti sotto al tappeto perché altrimenti Instagram sarebbe diventato un “luogo troppo arrabbiato” (queste le parole usate solo nel 2023), i post dei politici torneranno insomma ad affollare – specie in campagna elettorale – lo scroll del social Meta più amato dai giovanissimi: Instagram.

Tale novella sarà attuata negli Usa a strettissimo giro, giusto in tempo per l’insediamento dell’amministrazione Trump alla Casa Bianca. Nel resto del mondo bisognerà attendere una settimana in più.

COSA CAMBIA PER GLI UTENTI

Finora gli utenti dovevano attivare manualmente l’apposita opzione per visualizzare contenuti politici nelle raccomandazioni, mentre la nuova funzione consentirà la scelta tra tre livelli di esposizione ai contenuti politici: “meno”, “standard” e “più” post etichettati come sensibili. Di default – ed è importante sottolinearlo – il sistema sarà posizionato su “standard”. Altro aspetto che non sfugge è che l’opzione per esporsi a un minor numero di contenuti non è soprannominata “zero” ma “meno”. Insomma, qualcuno presto o tardi apparirà.

Tutto ciò con buona pace di quanto scritto dallo stesso Mosseri su Threads, ovvero su quell’X di Meta legato a doppio filo a Instagram: “Ho sempre sostenuto pubblicamente che non è nostro compito mostrare alle persone contenuti politici da account che non seguono”, ha scritto, salvo poi aggiungere che “è risultato impraticabile definire una linea chiara su cosa sia o meno contenuto politico.”

FACT-CHECKING E POST POLITICI: DOPPIA RETROMARCIA IN META

Insomma, se con la fine del fact-checking Meta ha pubblicamente ammesso di essersi voluta mettere in scia a X di Elon Musk (“Abbiamo visto questo approccio funzionare su X dove danno alla propria comunità il potere di decidere quando i post sono potenzialmente fuorvianti e necessitano di più contesto”, ha detto senza mezzi termini l’ex consigliere di Bush Jr oggi in Meta, Joe Kaplan), l’ultima mossa che restava ancora da attuare in quel di Menlo Park a rigor di logica doveva rendere il clone di Twitter, Threads, un luogo in cui si potesse parimenti far politica. E così è stato.

C’è però una differenza sostanziale tra X e Threads: il primo è popolato da politici, giornalisti o comunque persone in là con gli anni mentre il secondo, grazie alla scia di Instagram, raccoglie una utenza particolarmente giovane. Aspetto questo che lo rende particolarmente interessante per la politica, certo, ma eventualmente soggetto anche a regole più stringenti da parte dei legislatori. A iniziare dalla Ue.

LA FINE DEI PROGRAMMI “DEI”

Brusca sterzata anche sui programmi Diversity, Equity, and Inclusion – Dei, finanziati da Menlo Park. Si tratta di iniziative aziendali volte a promuovere e sensibilizzare ambienti lavorativi maggiormente equi e dimostrare esternamente il proprio impegno nell’attenuazione di disparità sistemiche e favorire la partecipazione di gruppi storicamente svantaggiati.

Per i detrattori tutto ciò rientra in quella narrativa Woke che il nuovo corso repubblicano intende contrastare. Anche lo stesso termine Dei è sotto accusa perché inteso da alcuni come una pratica che suggerisce un trattamento preferenziale di determinati gruppi rispetto ad altri.

LA FRETTOLOSA RETROMARCIA DI META

E non a caso il riposizionamento di Meta (ma anche di altre Big Tech) prevede, col 2025, la fine di budget ad hoc per tali corsi. In una comunicazione interna inviata ai dipendenti, Janelle Gale, vicepresidente delle risorse umane, ha fatto sapere che l’azienda adotterà un approccio più neutrale e che Meta non proseguirà con la rappresentanza diversificata nei processi di assunzione.

Da Menlo Park si riconosce che “il panorama giuridico e politico per gli sforzi in materia di diversità, equità e inclusione negli Stati Uniti sta cambiando” e che alcuni programmi, tra cui il Diverse Slate Approach, non sono più “attuali”. Ma sarebbe meglio dire che non risultano più compatibili con la nuova amministrazione che sta per insediarsi alla Casa Bianca.

LE AZIENDE CHE SI RIPOSIZIONANO

Se in un primo tempo la diffusione di tali corsi era stata reclamizzata con finalità di marketing dalle varie aziende che volevano far sapere ai consumatori quanto fosse alta l’attenzione rivolta a tematiche particolarmente sensibili, adesso si sta verificando esattamente l’opposto con diversi colossi americani come Amazon, McDonald’s, Ford, Lowe’s e Walmart che stanno pubblicizzando il ridimensionamento o persino l’abbandono di tali programmi.

Torna su