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Governo Digitale

Il governo Meloni ha dimenticato il digitale?

C’è da augurarsi che la nomina dei sottosegretari e la suddivisione delle deleghe possa offrire un’interpretazione più unitaria del ruolo che il Governo Meloni intende dare al digitale. L’intervento di Andrea Boscaro, partner The Vortex   Se i nomi dei Ministeri hanno suscitato una certa discussione per la loro dimensione identitaria e se non è…

 

Se i nomi dei Ministeri hanno suscitato una certa discussione per la loro dimensione identitaria e se non è passato inosservato il titolo di “Sovranità Alimentare” per quello dell’Agricoltura, non ha trovato spazio nel Governo un dicastero dedicato alla Trasformazione Digitale e il ruolo che ha esercitato Vittorio Colao sarà presumibilmente distribuito fra più responsabili. Adolfo Urso, al Ministero per le Imprese e il Made in Italy cui spetteranno di certo molte deleghe, ha già richiamato l’attenzione sulla necessità, per il nostro Paese, di dotarsi di produzioni strategiche ed è di poche settimane fa la notizia dell’apertura di uno stabilimento di Intel in provincia di Verona per la realizzazione di chip.

Il Ministero per la Trasformazione Digitale non esisterà più, ma rimarranno gli impegni presi e i cantieri aperti con i fondi del Pnrr per la diffusione della banda larga, la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione – con particolare riferimento alla sanità – e la maturazione di competenze digitali nel mercato del lavoro e della società: Vittorio Colao ha lasciato un documento in eredità ricco di urgenze a cui fare fronte, ma anche di progetti intrapresi e di iniziative da portare a termine.

A conferma della decisione presa, la campagna elettorale di Giorgia Meloni non ha quasi mai toccato temi di politica digitale nonostante che molteplici, a livello nazionale e comunitario, fossero gli spunti di interesse. In alcune occasioni ha menzionato il sempre ricorrente “Amazon del Made in Italy” mentre ha dedicato addirittura un video a formulare uno j’accuse nei confronti dei social media e della loro politica opaca nei confronti del “free speech”. “Con quali criteri vengono censurate opinioni e chiusi profili?” – si è chiesta la leader di Fratelli d’Italia oggi Premier – invocando una maggiore trasparenza delle regole e comportamenti più coerenti nel farle rispettare.

Quanto al primo punto, è bene ricordare che la sovranità digitale non deve passare da progetti chimerici come nel passato il portale Italia.it e, più di recente, ItsArt — il “Netflix della cultura italiana” varato da Dario Franceschini in piena pandemia, oggi con i conti in perdita — e il “Linkedin della PA” annunciato, ma mai completato da Renato Brunetta.

Un “Amazon del Made in Italy” si scontra in particolare con un mercato, quello degli acquisti online da parte di consumatori stranieri, nel quale elevata è la concentrazione attorno ai marketplace e ai grandi operatori e-commerce internazionali: se la percentuale del volume d’affari a livello mondiale è rilevato da Statista.com nel 47% del totale del valore delle transazioni cross-border, a livello europeo sale addirittura al 59%. Ecco perché un progetto di vendita online all’estero non può prescindere dallo sviluppo di collaborazioni e di processi volti a rendere presenti i prodotti e i servizi delle aziende italiane su tali piattaforme: promozione di tali offerte, supporto allo studio dei mercati di destinazione, mediazione culturale e lotta alla contraffazione sono ambiti più che sufficienti perché si possano dispiegare con efficacia politiche di internazionalizzazione delle imprese grazie al commercio elettronico.

Quanto al confronto con Meta e con gli altri social media per rendere più trasparenti ed efficaci le politiche di moderazione dei contenuti, i tavoli aperti a livello comunitario sono molteplici: il Digital Services Act richiede chiarezza in merito ai criteri adottati ed impegna le piattaforme a rendere tempestivi gli interventi attuati sia nella fase di vaglio dei profili e dei contenuti da moderare, fase sempre più interpretata dagli algoritmi, che nella fase di revisione manuale da parte dei controllori. In vista delle elezioni del Parlamento Europeo, la Commissione ha poi proposto una riforma volta a rendere più trasparenti le spese in pubblicità elettorale online e i criteri di profilazione adottati.

Peccato che le ricerche rilevino quanto queste politiche di moderazione dei contenuti difettino di conoscenza delle lingue diverse dall’inglese. Un’analisi condotta da Avaaz durante la pandemia e di fronte alle campagne di propaganda no-vax che circolavano sui social media, rilevava quanto, su 127 contenuti indicati come falsi da parte dei fact-checker indipendenti coinvolti da Facebook, ne siano stati successivamente rimossi solo il 31% da post in lingua italiana, il 42% in lingua francese, il 67% in lingua spagnola e il 74% in lingua inglese negli Stati Uniti, con percentuali di successo inferiore in altri Paesi.

C’è da augurarsi che la nomina dei sottosegretari e la suddivisione delle deleghe possa dunque offrire un’interpretazione più unitaria del ruolo che il Governo Meloni intende dare al digitale, alla sua regolamentazione e alla sua promozione nel nostro Paese. Pardon, nella nostra Nazione.

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