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Google imploderà? Fatti, analisi e scenari

L’articolo di Andy Kessler per il Wall Steet Journal La parte più difficile di un investimento in azioni è sapere quando venderle. Quando si acquista, si ha sempre una strategia di uscita, non subito, magari nel trimestre, quest’anno o anche nei prossimi anni. Ma occorre costantemente domandarsi quanto presto i semi della decadenza fioriranno presso…

La parte più difficile di un investimento in azioni è sapere quando venderle. Quando si acquista, si ha sempre una strategia di uscita, non subito, magari nel trimestre, quest’anno o anche nei prossimi anni. Ma occorre costantemente domandarsi quanto presto i semi della decadenza fioriranno presso l’azienda in cui si è investito. Vi garantisco che sono già stati piantati.

Si prendano Apple, Facebook, Amazon e Google, perché pesano per circa il 12% dell’indice S&P 500, pur rappresentando quasi tutti i rialzi del mercato azionario di quest’anno. Si moltiplicano le richieste per spacchettare queste società, perché sono troppo potenti. Ma ciò in realtà potrebbe aumentare il loro valore, calcolato come somma delle parti. Al di là di tonitruanti regolatori, cos’altro allora potrebbe andare storto?

I problemi di Apple sono già visibili. Gli smartphone sono come pneumatici radiali. Tutti ne hanno uno e non si consumano. Del resto, essere produttori di telefonini è un’attività voltatile, chiedere a Motorola o Nokia, se potete trovarli. Un segno di angoscia a breve termine: il ricorso al marketing di prodotti tecnologici con colori sgargianti, come Steve Jobs fece con gli iMacs color mandarino quasi 20 anni fa, significa che la parte divertente del business è quasi finita. Apple spera di recuperare nei servizi, ma Google è leader nelle mappe, Netflix nei video e Uber nei trasporti. Apple è in ritardo nella maggior parte degli altri segmenti di crescita. Il seme distruttivo dell’azienda è il suo disperato bisogno di una nuova categoria di prodotti. Non saranno gli orologi.

Si potrebbe pensare che i maggiori problemi di Facebook sono di privacy, che si sono manifestati ovunque, tranne che nelle finanze dell’azienda. I media si preoccupano della privacy. Gli utenti? Non tanto. Le azioni di Facebook stanno raggiungendo i massimi storici.

C’è da ritenere invece che il seme nero di Facebook sia la popolazione. Il sito ha 2,2 miliardi di utenti mensili attivi, un numero che è circa raddoppiato negli ultimi cinque anni. Ma il tasso di crescita sta necessariamente rallentando. Probabilmente il numero di utenti non raddoppierà di nuovo e la maggior parte della crescita proverrà dai paesi in via di sviluppo, meno ricchi. Agli investitori non piacerà sapere che la crescita si è arrestata.

Il vantaggio più grande di Amazon, e il suo problema, è il permesso che le ha dato Wall Street di mostrare molto poco in termini di profitti nel mentre reinventa il futuro. Ciò è fantastico, ma il business del commercio, cioè quello principale dell’azienda, è notoriamente a basso margine. I negozi al dettaglio non hanno mai avuto margini elevati. Acquistare Whole Foods è stato affascinante, ma i supermercati spesso marginano solo l’1% delle vendite. Ora Amazon sta irrompendo nel settore sanitario con l’acquisto della farmacia online PillPack, proprio andando nei denti dei regolatori. Alla fine Wall Street le richiederà margini elevati, dopo anni di investimenti. Non vorrei essere in giro quando ciò accadrà.

I semi cattivi di Alphabet, la società madre di Google, sono più difficili da trovare. Alphabet ha tre punti di forza: ricerca, ricerca e ricerca. Offre servizi gratuiti basati su un’infrastruttura globale ma controllata centralmente di server situati vicino alle cascate (per avere elettricità a basso costo). Da questa rete vende annunci rilevanti, spesso quando si è più pronti ad acquistare qualcosa.

L’azienda sarà difficile da mettere fuori gioco. Anche il passaggio al cellulare è andato bene, con 1,3 miliardi di telefoni (dati 2017) basati sul suo sistema operativo Android. Il software di blocco degli annunci pubblicitari sui telefoni è un pericolo a breve termine, ma si fa davvero fatica a trovare una minaccia esistenziale per l’egemonia ad alto margine dell’azienda.

Il mio amico futurologo George Gilder, delinea una teoria nel suo prossimo libro, Life After Google. Egli suggerisce che, sebbene i prezzi della pubblicità possano essere corretti, il modello del servizio gratuito non può garantire una crescita sostenibile. Gilder spiega che Google “ha raggiunto dimensioni senza precedenti con l’impegno di dare le cose gratis. Ma il flusso libero non è un flusso di cassa. Esso bypassa l’apprendimento imprenditoriale che viene trasmesso attraverso il messaggio del prezzo. Senza un prezzo da pagare, per limitare i consumi non resta che la scarsità del tempo a disposizione. Al di là delle decine di ore settimanali già impiegate sullo smartphone dai suoi clienti, il tempo si sta avvicinando inesorabile a Google”.

Anche l’architettura centralizzata di Google potrebbe essere attaccata dall’enorme infrastruttura decentralizzata che si sta espandendo fino alle miniere di bitcoin. Anche se il bitcoin scende sotto i 1.000 dollari, l’eccesso installato di server per la blockchain globale potrebbe, sostiene Gilder, “far sorgere un computer virtuale parallelo e planetario, che offuscherebbe con i suoi semplici milioni di server gli strati di CPU e di GPU presenti nei data center di Google “.

Secondo Gilder, “il criptocosmo può mobilitare un potere computazionale tanto forte da far impallidire anche i centri dati dei colossi. In questo caso, i progressi dell’informatica del pioniere Google serviranno a emancipare il mondo dai silos di Google”. E’ possibile che ci vorrà ancora molto tempo perché ciò avvenga, ma le implicazioni di investimento arrivano prima di quanto si pensi.

Investire è semplice, ma non facile. Si dovrebbero acquistare azioni di una società quando tutto sta andando storto e si può comprendere che cosa potrebbe andare bene. Poi, quando tutto è andato a posto, occorre immaginare prima degli altri cosa può andare storto, dai semi di decadenza che si vedono germogliare, e iniziare a vendemmiare.

 

Articolo pubblicato su Mf/Milano finanza

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