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Facebook e Twitter bannano Trump. Giusto o sbagliato?

Decisioni, obiettivi e rischi delle ultime decisioni di Twitter e Facebook contro Trump

Le big company dei social network hanno dichiarato guerra a Donald Trump e alla sua dialettica comunicativa aggressiva. Facebook ha sospeso per due settimane l’account del presidente degli Stati Uniti d’America, Twitter ha sospeso il suo account in via definitiva e Google ha rimosso dal suo Play Store (il negozio virtuale in cui si possono scaricare e acquistare le app) Parler, il social network simil Twitter che hanno utilizzato i sostenitori di Trump e facinorosi protagonisti dell’assalto a Capitol Hill. 

Questi accadimenti hanno reso evidente quanto possa essere centrale il ruolo dei social network nei nostri giorni e quanto peso, anche politico, possano avere. Così tanto da decidere di ridurre al silenzio il presidente degli Stati Uniti d’America, quello che fino al secolo scorso era reputato essere il ruolo più influente del pianeta. 

Qual è dunque oggi il ruolo dei social network?, quale la loro rilevanza politica?, e quali i possibili rischi? 

Start ha sentito due giornalisti appassionati di nuove forme di comunicazione: Nicola Zamperini, autore di Manuale di disobbedienza digitale, e Federico Mello, autore di “Il lato oscuro di Facebook”. 

Zamperini: silenziare Trump è inutile perché esistono i trumpiani

La censura operata da Facebook e Twitter evidenzia la necessità di porsi domande sul ruolo dei social network, sulla loro rilevanza politica e sui possibili rischi. “Io non credo che esista una soluzione politica in questo momento. È esclusa la possibilità di chiudere i social network, è inutile silenziare Trump perché esistono i trumpiani ed esistono altri spazi in cui chiunque può dire la propria”, dice Nicola Zamperini, “La rete funziona così, la rete è assolutamente ridondante negli spazi, nei luoghi, nei canali tanto da poter accogliere le opinioni, anche le più estreme, di chiunque. L’unica soluzione è sapere che queste cose si ripresenteranno periodicamente. La soluzione non è togliere il megafono a Trump perché tanto ci sarà un altro Trump o un altro luogo in cui Trump può continuare a dire quelle cose”. 

Facebook e Twitter non sono aziende ma “Metanazioni digitali”

Quello che colpisce è che aziende, quindi soggetti di diritto privato, abbiamo censurato il presidente degli Stati Uniti d’America. “Non credo che dovremmo più chiamarle aziende, io le chiamerei “metanazioni digitali”. La definizione di azienda gli sta stretta, queste entità hanno una loro soggettività politica, internazionale, alcune di loro pensano di battere monete a hanno degli organi di giurisdizione. Dobbiamo immaginare delle categorie nuove che una volta fatte nostre ci consentano di immaginare delle soluzioni politiche” – continua Zamperini – “La prima misura da attuare è smetterla di considerarle aziende ma soggetti che hanno protagonismo politico nei confronti di miliardi di persone e nei confronti tanto degli stati nazionali quanto degli organismi internazionali”. 

La tecnologia non ha solo fini benevoli 

I rischi per la democrazia potrebbero però essere dietro l’angolo. “Io non credo che siano un rischio per le democrazie. Dovremmo immaginare una nuova concezione della democrazia che si pone in rapporto dialettico rispetto ad alcuni strumenti o spazi che la tecnologia ha messo a disposizione delle persone. Da adesso noi dobbiamo sapere che ci sono questi rischi, importanti, seri e che fanno allo stesso modo parte della nostra vita collettiva. Facebook è da un lato un enorme megafono di intrattenimento, opinioni, relazioni, molto poco di informazioni secondo me, e dall’altro di disinformazione. Ci dobbiamo stare, funziona così perché la tecnologia abilita queste cose. Immaginare che la tecnologia possa essere usata solo per fini benevoli è un pallido velleitarismo”. 

Federico Mello: non mi associo al coro contro Facebook 

Di parere diverso il giornalista e scrittore Federico Mello. “Quella ai danni di Trump è una censura che non mi è dispiaciuta. Non mi associo al coro di chi dice che Facebook ha minacciato la libertà di espressione. Mi fa piacere che Facebook sia intervenuta, per una volta si è presa le sue responsabilità, cosa che non fa mai” – ci dice Federico Mello – “Già durante le elezioni Twitter aveva indicato come non veritieri alcuni tweet di Trump mentre Facebook non era mai intervenuta. Per la prima volta Facebook, che di solito si è sempre nascosta rispetto una sua supposta neutralità e non vaglio dei contenuti, è intervenuta in maniera giusta. Il secondo aspetto sul quale riflettere è capire quale siano stati i criteri e le regole utilizzate da Facebook per intervenire”. 

Censurare Trump per strizzare l’occhio a Biden

La scelta di censurare il Presidente uscente Donald Trump può essere una strizzata d’occhio al nuovo Presidente Biden che si pone in un’ottica di totale rottura con il precedente. “Nella scelta di censurarlo oggi più che una scelta etica ci vedo una volontà di ingraziarsi Biden, un piccolo presente portato in dote a Biden. Kamala Harris in passato ha parlato di smembrare Facebook, di dividerlo un po’ come fu a inizio ‘900 con i giganti del petrolio” – aggiunge Mello – “Questi soggetti hanno un tale potere che non possono più gestirlo in maniera autocratica. Occorre chiarire quali siano le regole di questi strumenti. Mi aspetto un passaggio simile a quello che è successo in Europa quando i sovrani assolutisti sono stati obbligati a varare obtorto collo le costituzioni. Prima piccoli manipoli di persone chiedevano le costituzioni, poi nel 1848 la richiesta esplose e fu un processo inarrestabile. Io vedo, in un’ottica positiva e ottimistica di sviluppo, i social network si pongono il problema di quale deve essere il loro contributo alla società e quali devono essere le regole del gioco al loro interno rispetto a una filosofia, non rispetto al guadagno.”

Quali regole segue Facebook per decidere cosa censurare?

Il tema delle regole, ovvero delle norme in base alle quali Facebook decida se e quando decide di intervenire è centrale rispetto ai fatti di questi giorni. “Le regole, se ci sono, sono pubbliche? Valgono per tutti? Io penso che Facebook sia uno Stato che come ogni Stato ha una forma di Governo, quella di Facebook è una sorta di dispotismo illuminato” – conclude Federico Mello – “Ecco secondo me dovrebbe essere uno Stato costituzionale, ci vorrebbe una costituzione per i social. Va detto cosa si può scrivere e cosa non si può scrivere, quali sono le loro responsabilità nel controllare che non circolino menzogne, che non ci siano atti di violenza. Bisogna creare un dibattito e una deliberazione pubblica per decidere quali siano i poteri dei social network. Adesso i poteri sono illimitati e usati arbitrariamente rispetto a quelli che sono i bisogni e le finalità dei proprietari. Ecco non va più bene, non si possono usare strumenti pubblici con una governance privata”. Le dimensioni di Facebook, e delle altre aziende Tech come Amazon e Google, la pongono in una relazione di parità con gli Stati nazionali, e questo lascia ancora più dubbi circa la possibilità di una sua regolamentazione. “Facebook è un’azienda americana, l’iniziativa non può che partire dalla politica americana. In questo senso io confido in Biden ma forse ancora di più in Kamala Harris che ha espresso una sensibilità in questi temi. Io penso che banalmente ci vogliano delle regole finalizzate alla certezza del diritto, va stabilito a monte quali siano le finalità di questi strumenti e come vadano usati. O le regole le dà la politica o Facebook, o i social, potrebbero avviare una sorta di audit, una chiamata interna attraverso la quale gli stessi social network si pongano il problema di come fare del bene. Questi mezzi non sono neutri ma in base a come sono programmati raggiungono degli obiettivi piuttosto che altri”. 

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