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Chip Stellantis

Perché Merkel vuole far trottare l’Europa nei semiconduttori

Sull'esempio degli Stati Uniti e sotto l'impulso della Merkel, l'Ue sta elaborando un piano di 30 miliardi di euro per raddoppiare la quota europea sul mercato dei semiconduttori. L'articolo di Tino Oldani

 

La guerra per i semiconduttori? Come molti, pensavo che fosse l’ultimo argomento di cui dovessi non dico preoccuparmi, ma neppure interessarmi. Roba per tecnici del settore. Ovviamente mi sbagliavo.

L’ho capito quando ho letto che Angela Merkel ne ha parlato di recente con Emmanuel Macron, convincendolo ad unire gli sforzi per accelerare lo sviluppo di un’industria europea dei semiconduttori, al fine di evitare la paralisi di una serie di settori industriali che ne fanno ampio uso, in testa quello dell’auto.

Per la verità, i semiconduttori sono diventati componenti elettronici di largo uso in molti settori produttivi, fondamentali non solo nell’auto (dai sensori di parcheggio al controllo delle emissioni), ma anche nella produzione di cellulari, tablet, computer, televisori e un’infinità di apparecchi e robot domestici.

Un ingrediente basilare per la tecnologia 5G e la futura intelligenza artificiale.Al momento, però, i semiconduttori scarseggiano nel mondo intero. La causa è presto detta. Gli Stati Uniti, con la presidenza di Donald Trump, hanno dichiarato una guerra commerciale e tecnologica alla Cina, colpendola soprattutto con una sanzione mirata al tallone d’Achille cinese: vale a dire, con il divieto assoluto di vendere semiconduttori alle industrie cinesi, prima fra tutte al colosso della telefonia Huawei, accusato di furto di intelligenza tecnologica e di spionaggio. Un’offensiva che il successore Joe Biden sembra intenzionato a confermare, per assicurare agli Stati Uniti il primato nella governance mondiale di questo settore strategico.

Per tutta risposta, dovendo dipendere dalle importazioni per sostenere la propria produzione di semiconduttori, nel 2020 la Cina ha acquistato semiconduttori in giro per il mondo come un grande aspirapolvere, e aumentato del 20% rispetto al 2019 l’importazione dei macchinari per produrre chip in proprio, con un esborso di 32 miliardi di dollari, di cui hanno beneficiato come esportatori Giappone, Corea del Sud e Taiwan. Gli acquisti, prevedono gli analisti del settore, continueranno in modo massiccio anche quest’anno, facendo della Cina il più grande mercato mondiale delle attrezzature necessarie per produrre semiconduttori. «Pechino non è affatto autosufficiente in questo settore», ha osservato il South China Morning Post. «Per questo sta investendo molto, con uno sforzo che sarà decennale, in quanto l’autosufficienza tecnologica nei semiconduttori è diventato un obiettivo strategico del partito comunista cinese».

L’accaparramento cinese su scala mondiale è talmente forte che quasi tutte le maggiori case automobilistiche si sono trovate all’improvviso a corto di semiconduttori, fondamentali in tutti i modelli, e costrette a fermare gli impianti. È stato così per Toyota in Giappone, e per Volkswagen, Mercedes, Bmw e Audi sia in Europa che negli impianti cinesi, uno stop che ha molto allarmato la Merkel. E, paradossalmente, è stato così anche negli Stati Uniti per General Motors (GM), Ford e Nissan.

«Nonostante i nostri sforzi, la carenza di semiconduttori avrà un impatto sulla nostra produzione 2021», ha annunciato GM, fermando da lunedì 8 febbraio tutti i turni di produzione in tre impianti, di cui due negli Usa (Kansas e Ontario) e uno in Messico. La Ford, a sua volta, ha deciso una serie di tagli alle produzioni di alcuni modelli e licenziamenti in cinque impianti di assemblaggio. Idem la Nissan Usa, che ha sospeso la produzione di autocarri in Mississippi.

Negli ultimi mesi, rivela il South China Morning Post, tutte le case automobilistiche in difficoltà si sono rivolte a Taiwan, che — singolare ironia della storia — è un passo avanti rispetto alla rivale Cina comunista, e ospita il maggiore produttore mondiale di semiconduttori. Si tratta della Taiwan Semiconductor Manufactoring Co (Tsmc), che è il principale fornitore di chip degli smartphone Apple, nonché uno degli impianti più avanzati al mondo nelle tecnologie per l’intelligenza artificiale e il calcolo ad alte prestazioni. La sua produzione, tuttavia, non basta a soddisfare tutte le richieste.

Dettaglio importante: questo stabilimento è di fatto una colonia tecnologica degli Stati Uniti e, in buona sostanza, produce in outsourcing per l’economia americana. Tanto che Donald Trump se n’è servito per negare a Pechino, segnatamente ad Huawei, di poter continuare nell’acquisto dei semiconduttori taiwanesi. Non solo. Dando seguito al «Chips for America Act» varato dal Congresso Usa l’anno scorso, Trump ha negoziato con il colosso di Taiwan la costruzione di un impianto in Arizona di 12 miliardi di dollari. Altrettanto ha fatto la coreana Samsung, per un impianto di 10 miliardi ad Austin nel Texas. E Intel Corp, un tempo leader mondiale nel settore, dopo avere programmato di servirsi della Tsmc per la produzione di alcuni chip, ha fatto marcia indietro, convinta dal nuovo amministratore delegato a giocare un ruolo d’avanguardia negli Usa.

Sull’esempio degli Stati Uniti e sotto l’impulso della Merkel, l’Unione europea sta elaborando un piano di 30 miliardi di euro per raddoppiare dal 10 al 20% la quota europea sul mercato dei chip, con investimenti pubblici e privati. Inoltre, l’Ue ha invitato Taiwan a investire nei 27 paesi membri, nel tentativo di raggiungere l’autonomia tecnologica europea nei chip. Invito accolto dalla taiwanese Global Wafers Co, che ha appena offerto 4,4 miliardi di dollari per acquistare la tedesca Siltronic, con la prospettiva di dare vita al maggiore produttore al mondo di semiconduttori per fatturato. L’ennesima conferma che la Merkel, come statista, è ancora una volta cento passi avanti rispetto alle mezze calzette di Bruxelles e a tutti gli altri leader europei.

 

Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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