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40% del budget IT in burocrazia. Così l’Europa perde la sfida tech. Report Wsj

Fatti, numeri e analisi sullo sconfortante quadro burocratico dell'Ue anche in materia tech. Che cosa emerge da un approfondimento del Wall Street Journal.

Secondo investitori e imprenditori intervistati dal Wall Street Journal, i limiti che frenano la crescita tecnologica europea sono profondi e sistemici. Una cultura imprenditoriale avversa al rischio, leggi sul lavoro rigide, regolamenti soffocanti, scarsità di venture capital e crescita economica e demografica fiacca disegnano un ecosistema ostile alla nascita di nuovi colossi digitali.

Il caso emblematico è quello di Thomas Odenwald, imprenditore tedesco tornato dall’America nel 2024 per contribuire allo sviluppo della startup Aleph Alpha, con l’ambizione di creare una risposta europea a OpenAI. Dopo due mesi è rientrato in California, deluso dalla lentezza operativa, dalla carenza di competenze e dall’assenza di stock option – un elemento basilare della cultura tech americana. Aleph Alpha ha successivamente rinunciato allo sviluppo di modelli AI su larga scala per concentrarsi su commesse pubbliche e aziendali. Oggi, dichiara che oltre il 90% dei dipendenti ha accesso a stock option.

L’Europa rischia di perdere anche la seconda rivoluzione digitale

Dopo aver perso il treno della prima rivoluzione digitale, l’Europa rischia ora di restare fuori anche dalla nuova ondata trainata da intelligenza artificiale e tecnologie emergenti. Stati Uniti e Cina stanno investendo con decisione grazie a fondi pubblici e privati, mentre gli investimenti europei in venture capital tech restano a un quinto di quelli americani. Un meme condiviso dal venture capitalist Marc Andreessen su X riassume la situazione: mentre OpenAI e DeepSeek si sfidano per la supremazia, una figura con la bandiera dell’UE osserva una bottiglia con tappo obbligatoriamente attaccato – simbolo della priorità data da Bruxelles a normative minori rispetto alla corsa globale all’innovazione.

Il quadro è confermato anche dal rapporto Draghi sulla competitività europea, pubblicato nel 2023. L’ex presidente della BCE ha definito la debolezza tecnologica “una sfida esistenziale” per l’Unione, affermando che l’Europa è fragile proprio nei settori chiave che guideranno la crescita futura. Oggi solo quattro delle 50 maggiori aziende tech globali sono europee. Nessuna tra i primi dieci investitori in quantum computing.

Imprese disruptive: la grande assente europea

La crisi tecnologica è solo la punta dell’iceberg di una dinamica più ampia: l’Europa non produce aziende davvero innovative e disruptive. Secondo i dati riportati da Andrew McAfee (MIT), negli ultimi 50 anni gli Stati Uniti hanno creato da zero 241 aziende con una capitalizzazione superiore ai 10 miliardi di dollari. L’Europa? Solo 14. Il panorama industriale resta dominato da settori maturi come banche e automotive. La media di fondazione delle top 10 aziende quotate negli USA è il 1985. In Europa è il 1911.  La produttività oraria, che nel 1998 era al 95% rispetto a quella americana, oggi è scesa sotto l’80%. L’economia europea, complessivamente, è un terzo più piccola di quella statunitense e cresce a un terzo del ritmo.

Innovazione rallentata, capitali assenti, storie perse

Eppure l’Europa partiva bene: università d’eccellenza, grandi cervelli STEM, una serie di campioni locali come ASML, ARM, SAP, Nokia. Anche storie di successo come Spotify, Klarna e Revolut hanno dimostrato che è possibile innovare. Ma la lentezza operativa resta un freno decisivo. Karlheinz Brandenburg, l’ingegnere tedesco che contribuì alla nascita dell’MP3, ricorda come le aziende locali sottovalutarono l’invenzione, mentre Apple la sfruttò per vendere oltre 400 milioni di iPod. Oggi, Brandenburg cerca 5 milioni di euro per una nuova startup di cuffie.

A denunciare lo stesso problema è anche Fabrizio Capobianco, imprenditore italiano trapiantato per anni in California. “Negli USA si decide in fretta. In Europa si deve parlare con tutti: ci vogliono mesi.” Tornato in Italia, ha fondato una startup factory sulle Alpi. Ma il premio per chi vince è chiaro: un biglietto di sola andata per la Silicon Valley. Il suo modello: team tecnici in Europa, dove il costo del lavoro è più basso, e leadership strategica in California. Risultato? I ruoli ad alto valore aggiunto restano negli USA.

Startup europee: vendute, acquisite o scappate

Il pattern si ripete: le startup europee più promettenti finiscono acquisite, si trasferiscono o si legano a partner americani. Deliveroo è stata ceduta a DoorDash per 3,9 miliardi di dollari. DeepMind, fondata a Londra, è passata a Google. Mistral AI, tra le più note scaleup francesi, distribuisce i suoi modelli tramite Amazon, Google e Microsoft. Bird, tra le startup più note dei Paesi Bassi, ha annunciato lo spostamento delle sue operazioni negli Stati Uniti, a Dubai e altrove, proprio per sfuggire alle normative UE sull’AI.

Secondo Hussein Kanji (Hoxton Ventures), il vero collo di bottiglia è la mancanza di capitale dinamico. In Europa dominano le banche, che chiedono immobili come garanzia, e i fondi pubblici, lenti e burocratici. Mancano i grandi endowment privati flessibili, che negli USA alimentano l’ecosistema startup.

Regole, tasse e frammentazione: la ricetta perfetta per rallentare

Fare scale-up in Europa è difficile. Mentre gli Stati Uniti offrono un mercato integrato, l’UE è frammentata da lingue, sistemi legali, regimi fiscali e contratti di lavoro diversi. Le leggi sul lavoro rendono più difficile assumere e licenziare: in Germania ci vogliono tre mesi di preavviso per cambiare lavoro, in UK i contratti di non concorrenza durano sei mesi. Le stock option, poco diffuse fino a poco tempo fa, erano tassate come reddito prima ancora di essere esercitate. Aggiungiamoci tasse elevate e regolamenti pensati per i giganti, ma che colpiscono soprattutto le startup.

Jina AI: la storia di un addio annunciato

È il caso di Han Xiao, fondatore della startup berlinese Jina AI, che ha scelto di trasferirsi in California. Dopo aver studiato in Germania e fondato l’azienda con due colleghi, si è scontrato con la realtà del sistema europeo: difficoltà a trovare ingegneri, vertenze legali per i licenziamenti, tentativi di sindacalizzazione interna. Dopo un primo round da 7 milioni con fondi americani e cinesi, ne ha raccolti altri 30 da Canaan Partners (Silicon Valley). Il mercato europeo dell’AI, dice, è troppo piccolo e troppo lento. Dopo un soggiorno tra novembre e dicembre a Palo Alto, ha deciso di trasferire l’intera attività.

Amazon: “Il 40% del budget IT europeo va in burocrazia”

Secondo un report di Amazon citato dal Wall Street Journal, le aziende europee spendono il 40% del budget IT per adempiere ai regolamenti, e due terzi non comprendono cosa prevede l’AI Act, entrato in vigore nel 2024. Meta ha ritardato di quasi un anno il lancio del suo nuovo modello AI in Europa per conformarsi alla normativa. Apple ha fatto lo stesso con le sue nuove funzionalità per iPhone.

“Smettila di regolare, Europa. Noi siamo i primi a fuggire, ma non saremo gli ultimi”, ha scritto su LinkedIn Robert Vis, fondatore di Bird.

Ambizione vs qualità della vita: il dilemma europeo

Le città europee offrono una qualità della vita superiore a molte controparti americane. Ma questa stabilità, scrive il WSJ, abbatte l’ambizione e la propensione al rischio. Chris Hill, investitore americano a Londra, racconta al WSJ: “Ricevo pitch da startup che puntano a 50 o 100 milioni. Negli USA, se non parli di miliardi, non interessi. E i pub della City sono pieni il giovedì alle due del pomeriggio.”

McAfee (MIT): “Il problema è che manca il privato, non lo Stato”

Il rapporto Draghi è stato lodato per l’analisi lucida, ma criticato per la proposta di risposta: più spesa pubblica. Per Andrew McAfee (MIT), la vera assenza è quella del capitale privato, e sono proprio le regole pubbliche a scoraggiarlo. “È lì che ho smesso di annuire con la testa – e ho cominciato a sbatterla sul tavolo.”

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