Un conflitto inestirpabile tra il fare politica in modo pulito e farla sporcandosi le mani; tra i vizi e le virtù dell’uomo pubblico e le debolezze del padre, del nonno, del marito e dell’amante; e, infine, la scelta tra l’essere privato della libertà nel paese natio ed essere libero nel paese che lo ha accolto: Hammamet di Gianni Amelio racconta la vicenda politica e umana di Bettino Craxi caratterizzando il suo personaggio con un inimitabile Pierfrancesco Favino più a suo agio nei panni del Craxi tunisino che non in quello del leader socialista all’apice della sua avventura politica, così come mostrato nel preambolo del film.
Non sono molte nel film le tracce della storia politica craxiana: il delfino di Nenni, il Midas, il caso Moro, la presidenza del Consiglio, la scala mobile, Sigonella vengono quasi del tutto ignorate per incentrare il racconto sugli ultimi drammatici anni di Craxi nell’esilio-latitanza di Hammamet, dove si aggira come un leone in gabbia fiero della sua vita e della sua storia, ma con le tante malattie che avanzano fino a divorare la sua vita. Non si muore mai né di diabete né di tumore né d’infarto: gli uomini muoiono solo di dolore per i propri dispiaceri. Craxi amava dire che “la sua vita era stata una corsa”: anche il suo epilogo, nella sua drammaticità, fu degno di un percorso accelerato sin da quando da piccolo faceva il chierichetto in una Milano distrutta dalle bombe della seconda guerra mondiale.
Il film si apre e si chiude con dei vetri infranti: prima è il giovane Benedetto con la sua fionda a distruggerli nella scuola dei preti che frequentava; poi, in chiusura, nell’ultima scena, sono i vetri di un sanatorio dove si trova rinchiuso il figlio dell’amico Vincenzo armato solo della videocassetta con le verità nascoste di Craxi che nessuno saprà mai. Con la vita di Craxi si spengono la Prima Repubblica, l’ideale del socialismo liberale e un sistema di finanziamento dei partiti non più sostenibile per un’Italia che si apprestava a ratificare il Trattato di Maastricht e a uscire dalla Guerra Fredda.
Negli ultimi anni – anche in confronto con alcuni personaggi della politica attuale o comunque venuti dopo di lui – Craxi è stato definito “un Gigante della politica”. I Giganti della Prima Repubblica hanno tutti pagato un conto salatissimo con la storia: non solo Craxi pagò per essere Craxi (e per le sue idee) con condanne che lo portarono a una morte prematura; Aldo Moro fu trucidato dalle Brigate Rosse per la sua politica del compromesso storico; Enrico Berlinguer morì in piazza, rifiutandosi di porre fine a un comizio; Giorgio Almirante pagò con l’ostracismo la sua fede fascista. Riesce difficile pensare ai protagonisti della nostra vita pubblica attuale e cogliere quali ideali muovevano quegli uomini cresciuti in un’Italia povera e maturati in un’Italia che produceva e accumulava quanto le altre potenze occidentali. Il fatto che a 20 anni di distanza ci sia un gruppo di italiani – ironicamente vicino al migliaio di unità, come quelle del Garibaldi tanto amato da Monsieur Le Président – che ancora si reca a Hammamet sulla tomba di Craxi fa capire quanto il ricordo e la nostalgia di un’altra politica sia vivo.
E così mentre riposa nel cimitero cristiano di Hammamet viene da rendere omaggio e salutare l’uomo ancora prima che il potente. Perché se Craxi ha fatto la fine che ha fatto è stato solo perché era il meno potente dei potenti.
Addio Ghino di Tacco: leader, statista, garibaldino, uomo-sistema, esule per alcuni, latitante per altri: sei stato questo e molto altro, Benedetto Craxi detto Bettino.