Se non metterà la parola fine al giornalismo online, di sicuro l’intelligenza artificiale nei motori di ricerca lo cambierà molto (e probabilmente farà anche chiudere parecchie testate e siti di informazione). A lanciare l’ultimo allarme è stato il noto tuttologo di Internet Salvatore Aranzulla, che nel campo ha una certa esperienza. Classe 1990 e un impero milionario. Ha risolto almeno una volta nella vita di ciascuno un dramma informatico, eppure nemmeno lui sembra poter scampare ai devastanti effetti dell’IA. Solo che, come ha dichiarato in un’intervista a Fanpage, il problema è di autori, giornalisti e collaboratori perché lui può vivere di rendita con i soldi accumulati negli ultimi 20 anni.
LA DENUNCIA DEGLI EDITORI ITALIANI
Poco più di due settimane fa gli editori associati alla Federazione italiana editori giornali (Fieg) hanno depositato un reclamo formale all’Agcom contro la funzione AI Overview di Google, che fornisce risposte agli utenti mettendo in secondo piano i link ai siti delle testate online. Secondo la denuncia, la funzione di Google – che domina il settore della ricerca online e ha già aggiunto anche AI Mode – viola il Digital Services Act (Dsa). Iniziative analoghe sono state avviate anche da altri editori europei, coordinati dalla European Newspaper Publishers’ Association (Enpa).
L’obiettivo dei reclami è spingere la Commissione europea ad aprire un’indagine per valutare possibili violazioni del Dsa da parte di Google.
Per gli editori, infatti, le risposte generate dall’IA di Google, comparendo in evidenza nei risultati di ricerca, riducono la visibilità e il traffico verso i siti giornalistici. Questo provocherebbe perdite pubblicitarie, minando la sostenibilità economica delle testate e la diversità dell’informazione.
UNA MINACCIA PER L’INFORMAZIONE
Ma oltre a causare danni agli editori, l’IA sui motori di ricerca danneggia la diversità dell’offerta mediatica, accrescendo i rischi legati alla disinformazione e alla mancanza di trasparenza nel dibattito pubblico. Basti pensare che la maggior parte dei contenuti presenti nelle risposte generate dall’intelligenza artificiale proviene da Reddit (40,1%), una fonte non sempre considerata autorevole. Seguono Wikipedia (26,3%), YouTube (23,5%) e Google stesso (23,3%).
A queste evidenze si aggiunge uno studio della Columbia Journalism Review, che ha messo in luce gravi carenze nei motori di ricerca basati su IA. Su otto chatbot analizzati – tra cui ChatGPT, Gemini e Perplexity – oltre il 60% delle risposte è risultato errato, spesso espresso con tono eccessivamente sicuro e senza segnalare dubbi o limiti. ChatGPT, ad esempio, ha fornito 134 risposte sbagliate su 200, riconoscendo l’incertezza solo in 15 casi.
Anche i modelli premium, come Perplexity Pro e Grok 3, pur offrendo un numero maggiore di risposte, hanno mostrato tassi di errore ancora più elevati. Inoltre, la ricerca ha evidenziato gravi problemi nella gestione dei link alle fonti: Grok 3 ha indicato URL errati o inesistenti nel 77% dei casi, e spesso le fonti corrette non erano effettivamente raggiungibili tramite i collegamenti forniti.
LA LEGGE DEGLI INSERZIONISTI
E qui entrano in gioco gli inserzionisti. Se finora il modello si reggeva su un patto implicito tra editori e Google – con i primi che offrivano contenuti gratuiti e il secondo che gli portava traffico, da cui poi si monetizzava con la pubblicità -, ora anche Aranzulla conferma che non funzionerà più così. “Oggi chiedi a Google quale sia lo smartphone migliore e invece di arrivare sul mio sito trovi un testo generato con le informazioni prese dai miei articoli o da quelli dei miei collaboratori. È un danno economico per tutti gli editori”, ha detto a Fanpage.
Ma il principale pericolo di un simile sistema, afferma Aranzulla, è che – in assenza di adeguati ritorni economici – la produzione di contenuti giornalistici di qualità, indipendenti e realizzati da persone finisca per spegnersi, trasformando Internet in uno spazio digitale in cui i contenuti vengono generati, letti e sintetizzati dalle intelligenze artificiali e non dagli esseri umani.
“Non solo – avverte l’esperto tech -, le risposte che verranno generate rischiano di venire influenzate dagli inserzionisti. Da chi paga gli editori per creare contenuti dove vengono pubblicizzati solo i loro prodotti. Rischiamo proprio una perdita di qualità. Alla fine quando chiederemo ‘Qual è il migliore smartphone’ troveremo come risposta il modello dell’azienda che ha pagato di più per essere posizionata.”





