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Come nascono i rapporti di Huawei nel Regno Unito

“Special relationship”, l’espressione che in genere descrive i legami tra Stati Uniti e Regno Unito, può essere utilizzata anche per rappresentare i rapporti tra Londra e Huawei. L'articolo di Alessandro Aresu

Una prospettiva del rapporto tra Huawei e il Regno Unito non schiacciata sulla cronaca può essere fornita attraverso il percorso e le proposte di due persone: John Suffolk e Vittorio Colao. Pochi conoscono Suffolk, figura cruciale nell’ascesa di Huawei dell’ultimo decennio. Oggi è senior vice-president di Huawei, con la responsabilità di supervisionare la cybersicurezza e la privacy per l’azienda a livello globale. Il suo ingresso nel colosso di Shenzhen, con una funzione creata per l’occasione, è giunto dopo una lunga esperienza in Gran Bretagna, culminata nel ruolo di chief information officer per il governo sotto tre diversi primi ministri (BlairBrownCameron). Suffolk ha lasciato il suo incarico pubblico a fine 2010 e nel corso del 2011 è stato autorizzato dal governo, ai sensi delle regole del servizio civile britannico, a prendere servizio presso Huawei. È Suffolk a prendersi la responsabilità di confronti, talvolta aspri, con i rappresentanti politici, in particolare negli Stati Uniti e nella sua Gran Bretagna, dovendo rispondere a domande sulle politiche del Partito comunista cinese. Suffolk ha affermato: «Probabilmente siamo la società al mondo più controllata, ispezionata, analizzata, colpita e punzecchiata». Alla fine del mandato di Suffolk nel governo britannico, e alla sua presenza, avviene l’apertura del Cyber Security Evaluation Centre, di cui a novembre ricorrerà il decennale. È un passo che avviene su impulso di apparati di intelligence notoriamente esperti (Government Communications Headquarters) e che prevede un rapporto costante con Huawei per monitorare le vulnerabilità del sistema. Il centro interagisce anche con il National Cyber Security Centre (NCSC), attivo dal 2016 ed erede di precedenti istituzioni informatiche e crittografiche.

Possiamo leggere l’esperienza britannica di Huawei anche attraverso un’altra figura, quella di Vittorio Colao, manager italiano alla guida di Vodafone dal 2008 al 2018. Dal suo osservatorio d’impresa, Colao ha potuto vedere da vicino l’ascesa di Huawei nel Regno Unito. In un intervento di un anno fa sul Corriere della sera ha posto alcune delle questioni su cui si sta orientando anche la comunità europea. Il manager ha invitato a distinguere tra lo spionaggio e la vulnerabilità, puntando l’attenzione sulla vulnerabilità futura dei Paesi che sono privi di centri di produzione di tecnologie chiave e che rischiano di essere dipendenti da valutazioni altrui: di Pechino o di Washington. Nel mezzo della “corsa alla sicurezza nazionale” nella tecnologia, generata dall’ascesa cinese e dalle politiche statunitensi verso gli alleati, l’approccio britannico fornisce un’esperienza decennale, che ha anticipato gli strattoni dell’ultimo anno e mezzo. Alla luce di quell’esperienza, Colao propone di far nascere centri di valutazione sulla cybersicurezza simili a quelli presenti nel Regno Unito in tutti i Paesi europei, creando potenzialmente migliaia di posti di lavoro e una nuova comunità scientifica e di ricerca, per ispezionare e contrattaccare. Si tratterebbe di un importante passo avanti per alcuni Paesi, seppur all’interno di una soluzione tecnica, che non può sciogliere da sola le scelte di “appartenenza” politica sugli schieramenti in campo.

 

(estratto di un articolo più ampio pubblicato su Treccani.it; qui l’articolo integrale)

 

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