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Semiconduttori

La Cina farà sul serio sul blocco a gallio e germanio

La Cina ha effettivamente ridotto allo zero netto le esportazioni di gallio e di germanio. Ecco le conseguenze per gli Stati Uniti e l'Unione europea. L'articolo di Sergio Giraldo.

Pechino fa sul serio. Non che ci fossero dubbi, ma di fronte ai numeri anche l’ottimismo più sfrenato deve fare i conti con la realtà. Dopo l’annuncio di luglio delle limitazioni all’export, ad agosto la Cina ha effettivamente ridotto allo zero netto le esportazioni di gallio e di germanio, due metalli essenziali alla transizione ecologica. I due elementi vengono utilizzati nella fabbricazione di microchip con diversi utilizzi, in circuiti integrati, diodi laser e LED, applicazioni ottiche, catalizzatori e sono usati sia per applicazioni legate all’energia sia per applicazioni militari.

QUANTO VALE LA CINA NEL MERCATO DI GALLIO E GERMANIO

La Cina produce il 98% del gallio mondiale, mentre si calcola che, al momento, le scorte esistenti dei due materiali possano durare al massimo per cinque-sei mesi.

Sono i dati ufficiali delle dogane cinesi a sancire lo stop totale alle esportazioni. L’export di agosto di germanio è stato pari a zero, dopo un luglio a 8,6 tonnellate, record causato dalla corsa degli acquirenti esteri ad immagazzinare quanto più metallo possibile prima del blocco annunciato.

Stesso discorso vale per il gallio, di cui la Cina è praticamente monopolista mondiale: esportazioni pari a zero dopo un luglio che ha fatto segnare 5,15 tonnellate di export.

Lo stop alle vendite all’estero, che Pechino ha annunciato nei primi giorni dello scorso luglio, riguarda alcuni prodotti finiti o semilavorati (otto relativi al gallio e sei al germanio). Il governo cinese di Xi Jinping intende così fronteggiare l’amministrazione americana guidata da Joe Biden, in una guerra di nervi causata dalla accresciuta importanza strategica e militare della produzione di microchip.

LA SCAPPATOIA BUROCRATICA DI PECHINO

Lo stop alle esportazioni dei due metalli è stato ottenuto con una scappatoia burocratica. Il governo cinese pretende che, per commerciare con l’estero questi due materiali, gli esportatori debbano ottenere una licenza speciale legata al doppio uso (civile e militare) dei semilavorati. Per avere l’autorizzazione servono quasi due mesi e sinora nessun operatore l’ha conseguita.

Proprio ieri, il Ministero del commercio cinese ha annunciato che alcune società cinesi hanno ottenuto la licenza per esportare gallio e germanio. In una conferenza stampa, un portavoce del ministero ha affermato che il ministro ha approvato alcune richieste di compagnie cinesi che rispettano gli standard richiesti. Non ci sono ulteriori dettagli, al momento. Occorrerà attendere i dati delle dogane cinesi relativi all’export per il mese di settembre.

I prezzi dei due materiali sul mercato cinese hanno avuto andamenti divergenti. Il gallio in Cina è abbondante e il blocco all’export ha fatto crescere gli stock, per cui il prezzo è sceso di quasi il 10%.

Il prezzo del germanio, invece, che aveva scorte più contenute, è cresciuto, sia pure di poco, a causa della ridotta offerta.

LA STRATEGIA DELLA CINA

Di fatto, la Cina, da una posizione di forza, sta condizionando il mercato mondiale di questi elementi e al contempo giocando una partita strategica assai rilevante. Da anni Pechino e Washington si fronteggiano sulla questione dei chip e delle relative applicazioni, soprattutto militari. Gli Stati Uniti dipendono al 100% dal gallio e al 53% dal germanio cinese. Una dipendenza che costringe la Casa Bianca a venire a patti con la potenza economica e militare asiatica.

Le mosse cinesi sul blocco dell’export potrebbero continuare anche su una serie di altri materiali, tra cui le cosiddette terre rare, o la grafite ed altri metalli necessari alla transizione ecologica e al tanto propagandato Green Deal europeo e americano.

Le strategie di decoupling avviate dagli USA, allo stato attuale, sembrano un miraggio e sostanzialmente assomigliano ad una autorete. Così come la posizione più sfumata dell’Unione europea, gigante economico dai piedi d’argilla, che ha iniziato qualche mese fa, per bocca della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, a parlare di de-risking, cioè di una strategia di eliminazione dei fattori di tensione geopolitica con Pechino pur senza rompere i rapporti commerciali con il grande paese asiatico.

Il Critical Raw Materials Act approvato a Bruxelles quest’estate, che dovrebbe rappresentare un pilastro della politica economica europea in vista della transizione ecologica, è in realtà una dichiarazione di impotenza e non fa che prendere atto che la dipendenza dalla Cina su materiali e tecnologie è ormai consolidata. Sarà difficile per l’economia europea, proseguendo su questa strada, fare a meno della produzione e raffinazione cinese di questi materiali.

Il rischio di una escalation delle tensioni commerciali mondiali permangono, come dimostrato anche dal recente taglio alla produzione di petrolio greggio da parte di Arabia Saudita e Russia, che ha provocato un aumento dei prezzi. Ieri la Russia ha anche annunciato una riduzione delle esportazioni di prodotti raffinati. Il fronte dei BRICS (Brasile Russia India Cina Sudafrica) viene presentato come contraltare economico e strategico all’Occidente. Per intanto, Xi Jinping gioca a fare il gatto con il topo, e il topo siamo noi.

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