Imperversa lo scontro tra operatori Telco e Big Tech sul “fair share”, ovvero il contributo equo di tutti gli attori digitali.
I primi, Internet Service Provider (Isp), vogliono infatti dividere i costi del lancio delle reti di nuova generazione nell’Ue con i secondi, i Content and Application Provider (Cap) che delle reti sono i principali utilizzatori. Ma per i fornitori di contenuti anziché di “fair share” si dovrebbe parlare piuttosto di “commissioni di rete”, visto che di tariffe si tratta.
Nello specifico, i gruppi tech che rappresentano più del 5% del picco medio di traffico internet di un provider di telecomunicazioni dovrebbero finanziare il lancio del 5G e della banda larga in Europa.
È questo il succo della proposta delle associazioni Etno e Gsma del settore tlc inviata alla Commissione europea, che a febbraio ha lanciato una consultazione pubblica nell’ambito del Connectivity Package, conclusasi il 19 maggio. Gsma e Etno rappresentano oltre 160 operatori fissi e mobili europei fra cui Deutsche Telekom, Orange, Telefonica, Tim e Vodafone.
Quindi l’industria tlc chiede a Bruxelles di addebitare i costi delle infrastrutture ai Cap come Meta, Alphabet (Google), Apple, Amazon, Microsoft e Netflix, che insieme rappresenterebbero oltre il 50% del traffico globale.
Da parte loro i Cap sostengono che il Fair Share influirà sull’accesso a Internet aperto e gratuito.
Il dibattito è ormai aperto e gli esperti si dividono tra chi appoggia le istanze delle telco e chi le proteste di big tech.
“La proposta di equo contributo promossa dalle Telco per ottenere dalle grandi piattaforme un contributo per la realizzazione delle reti di nuova generazione può produrre effetti negativi sul mercato dei contenuti, che si rifletterebbero sull’offerta ai consumatori” ha osservato Augusto Preta, Founder e ceo ITMedia Consulting – Direttore International Institute of Communications, su Agenda Digitale.
Tutti i dettagli.
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO
“In quanto grandi investitori nella creazione di contenuti, i Cap spendono anche una quantità significativa di denaro per migliorare la codifica e la compressione video, al fine di fornire contenuti di alta qualità senza utilizzare inutilmente la larghezza di banda. È nel loro interesse ridurre al minimo la congestione e fornire la migliore esperienza utente, se vogliono che i consumatori utilizzino il loro servizio” spiega il ceo di ItMedia Consulting.
“Allo stesso tempo, — rileva ancora Preta — i Cap continuano ad aumentare la spesa per la creazione e la produzione di contenuti televisivi originali. Questo avviene nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e i primi segnali di maturità del mercato, che dovrebbero portare a una riduzione della crescita del traffico nei prossimi anni”.
LA SPESA PER I CONTENUTI ORIGINALI
Basta pensare al leader del video streaming Netflix che ha aumentato la spesa per i contenuti, in particolare per gli originali. Nell’aprile 2022 un dirigente della società di Los Gatos stivmava che Netflix avrebbe speso 19,2 miliardi di dollari in contenuti quell’anno, in quanto compete con Amazon, Apple, Disney e altri che stanno investendo molto nello streaming.
“Tra il 2022 e il 2027, si prevede che Disney+ aumenterà i suoi investimenti annuali in contenuti originali dell’82,8%. Nello stesso periodo, Amazon Prime Video dovrebbe aumentare di quasi il 70%, Netflix del 43% e Paramount del 33%” rileva Augusto Preta. “Ciò significa uno spostamento degli investimenti in contenuti verso lo streaming, dal momento che si prevede che le emittenti commerciali e i servizi lineari ridurranno la spesa in contenuti originali al tasso più alto nei prossimi cinque anni” aggiunge l’esperto.
GLI INVESTIMENTI DEI GLOBAL STREAMER
“Tuttavia, in una prospettiva più a lungo termine, gli investimenti dei global streamer non hanno sostituito quelli dei broadcaster. Al contrario, i broadcaster hanno aumentato i loro investimenti, almeno fino alla pandemia, più velocemente di quanto non facessero prima dell’ingresso degli streamer globali sul mercato europeo. Di conseguenza, mentre gli investimenti globali sono cresciuti, la quota degli streamer è aumentata rapidamente fino a raggiungere il 16% e si prevede che questa tendenza aumenti nei prossimi anni” ha sottolineato il ceo di ItMedia Consulting.
CRESCIUTI GLI INVESTIMENTI IN CONTENUTI
Secondo Preta, “la spesa per i contenuti locali nei nuovi mercati è stata fondamentale nelle strategie delle piattaforme di streaming per spingere la crescita degli abbonati e ha creato opportunità per la creazione di posti di lavoro locali e lo sviluppo economico. Gli investimenti in contenuti locali sono importanti perché aumentano il mercato totale potenziale”.
RISCHIO AUMENTO DEI PREZZI PER L’UTENTE FINALE
Alla luce di quanto delineato, “ne discende che la proposta di equo contributo può produrre effetti negativi sul mercato dei contenuti, — puntualizza l’esperto — dal momento che maggiori costi di interconnessione significherebbero infatti prezzi più alti per la fornitura di contenuti all’utente finale o meno risorse economiche da investire in contenuti, che a loro volta determinerebbero meno contenuti disponibili o contenuti di qualità inferiore”.
“A rimetterci, inoltre, non solo l’industria creativa, ma anche il consumatore, l’altro elemento mancante nel dibattito attuale” conclude Preta.